Rapiti dal film di Bellocchio
Rapiti dal film di Bellocchio
Rapiti dal film di Bellocchio
Cannes – Si dice che il principale motivo per cui Steven Spielberg abbia rinunciato a girare un film sul caso Mortara – il bimbo bolognese di sei anni sottratto alla propria famiglia ebrea da papa Pio IX, per farlo crescere a Roma da battezzato e secondo la dottrina cattolica – dipendesse dal fatto che il regista premio Oscar non fosse riuscito a trovare il bambino giusto per il ruolo del protagonista. Marco Bellocchio e il portentoso casting di Maurilio Mangano ce l’hanno invece fatta. La felicissima scelta è caduta su Enea Sala, che in “Rapito” (in gara per la Palma d’oro e già nelle sale, distribuito da 01) interpreta il piccolo Edgardo Mortara. Non è un attore bambino, ma soltanto un bambino di otto anni che frequenta la seconda elementare. «Sono tifoso dell’Inter, vengo da Modena e questo è il mio primo film». Edgardo ragazzo ha invece il corpo e il metodo di Leonardo Maltese. Venticinque anni, è fra i più illuminanti nuovi interpreti italiani.
Abbiamo incontrato entrambi a poche ore dalla trionfale accoglienza che il Festival di Cannes ha riservato a “Rapito” (una grossa produzione di Beppe Caschetto, Kavac Film e Rai Cinema). Oltre al personaggio, Enea e Leonardo hanno altro in comune: la luce negli occhi di chi raccoglie una meritata felicità. I loro nomi compaiono in testa ai lunghi titoli di coda. «Eh già, è una lista davvero lunghissima» ride Enea. «Durante le riprese mi sono trovato bene con tanti. Come succede al nostro personaggio, anch’io per quando sarò grande m’immagino un po’ come Leonardo». Maltese annuisce e si cala nella parte di chi, avendo già abbandonato l’ingenuità degli inizi, fa la riverenza ai tanti suoi illustri colleghi. «Di fronte a un tale cast di attori ho soltanto l’imbarazzo della scelta» ammette. «Basti pensare che Barbara Ronchi e Fabrizio Gifuni hanno appena vinto il David di Donatello».
Il film di Marco Bellocchio è basato su un fatto di cronaca del XIX secolo ma riprende temi destinati all’eternità, congeniali all’autore de “L’ora di religione”. Quella che Enea a scuola non frequenta: «Non sono nemmeno battezzato». Leonardo invece ha «ricevuto battesimo, comunione e cresima. Ma non sono religioso. Da ragazzino frequentavo la parrocchia. Poi, verso i 15-16 anni, ho deciso di affrontare la spiritualità in modo diverso». Lo spirito laico del grande Festival ha una sua sacralità. Che può condurre a divismi fanatici oppure a sensibili momenti, da ricordare. «L’emozione è stata enorme: percorrere il red carpet, guardare il film in sala, fare un sacco di foto, sentire l’applauso lungo tredici minuti» elenca Enea, trasmettendo dal vivo quella stessa empatia che promana dallo schermo. A Maltese tocca interpretare – per il disincanto proprio dell’età adulta – l’Edgardo più nero. «Si aggrappa alla vita» spiega l’attore. «Comprende ciò che deve fare e lo mette in pratica, anche se non è quello che si sarebbe aspettato».
In una edizione segnata da splendide prove di attori ragazzini, Enea si allinea al talento di altri giovanissimi colleghi. Peccato che a Cannes non ci sia un omologo del Premio Mastroianni che la Mostra di Venezia assegna agli interpreti emergenti. «Poco importa. Se vinciamo la Palma d’oro è meglio» osserva questo bambino di talento.
di Federico Fumagalli
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