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Renato Caruso, da Pitagora all’AI con “L’Algoritmo della Musica”: “L’anima matematica della musica”

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Musicista, compositore e divulgatore, Renato Caruso torna in libreria con “L’Algoritmo della musica – Da Pitagora all’Intelligenza Artificiale” (Tsunami Edizioni)

Renato Caruso, da Pitagora all’AI con “L’Algoritmo della Musica”: “L’anima matematica della musica”

Musicista, compositore e divulgatore, Renato Caruso torna in libreria con “L’Algoritmo della musica – Da Pitagora all’Intelligenza Artificiale” (Tsunami Edizioni)

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Renato Caruso, da Pitagora all’AI con “L’Algoritmo della Musica”: “L’anima matematica della musica”

Musicista, compositore e divulgatore, Renato Caruso torna in libreria con “L’Algoritmo della musica – Da Pitagora all’Intelligenza Artificiale” (Tsunami Edizioni)

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C’è un luogo, nella visione di Renato Caruso, in cui numeri e note si incontrano senza attrito, dove la musica smette di essere solo emozione e rivela la sua natura più profonda: quella di una scienza antica quanto il pensiero umano. Musicista, compositore e divulgatore, Caruso torna in libreria con “L’Algoritmo della musica – Da Pitagora all’Intelligenza Artificiale” (Tsunami Edizioni), un saggio che attraversa secoli di conoscenza per mostrare come ogni melodia sia, da sempre, il risultato di un dialogo continuo tra intuizione, matematica e tecnologia.

In un momento storico in cui l’intelligenza artificiale è al centro del dibattito culturale, Caruso sceglie una via controcorrente: non demonizzare, ma comprendere. Perché la musica è evoluzione e l’evoluzione non si ferma. Ed è da qui che parte la nostra conversazione, tra Pitagora, algoritmi e quel limite misterioso che separa la creatività umana dalla sua imitazione digitale.

Come nasce l’idea di questo libro?

È nato in modo molto semplice: avevo tantissimi appunti, decine e decine di pagine, sia cartacee che in PDF. Mi sono accorto che iniziavo a dimenticare molte cose e allora ho pensato: “Perché non metto ordine in tutto questo materiale?” All’inizio l’idea era fare un libro di appunti per me stesso, un modo per organizzare vent’anni di studi sul rapporto tra matematica, musica, filosofia e scienza. Poi, man mano che lo sistemavo, mi sono reso conto che stava assumendo una forma vera e propria. C’erano dentro cose che non conosce quasi nessuno e che solo chi studia questo campo da tanto tempo può scovare. A quel punto mi sono detto: “Perché non pubblicarlo? Potrebbe essere utile anche ad altri”.
E da lì è nato il libro.

Mettere ordine negli appunti e trasformarli in un libro ti ha dato una visione più chiara di quello che studi?

Assolutamente sì. Scrivere un libro ti costringe a dare una forma chiara alle idee, a tagliare, a selezionare, a rendere divulgativo ciò che è tecnico. Alla fine è diventato davvero un libro “per me”, per ricordare e riordinare, ma anche un libro per gli altri.

Il tuo libro attraversa discipline diverse. Che tipo di lettore hai immaginato?

Può leggerlo chiunque. Certo, chi ha un minimo di basi di matematica, filosofia o musica apprezzerà ancora di più, ma non è un testo specialistico: è divulgativo. Può leggerlo uno studente, un appassionato, un musicista, un curioso. Ti faccio un esempio: ho diversi video su YouTube dove spiego temi di informatica musicale, campionamento, equalizzazione. Alcuni studenti universitari mi hanno scritto dicendo che hanno studiato sui miei contenuti. Quindi questo libro può essere utile anche nei conservatori o nei corsi di musica.
È un libro che mostra una parte della musica che quasi nessuno conosce: la sua anima matematica.

A proposito di matematica, molte persone non conoscono questo legame così profondo con la musica. Quanto è importante farlo emergere?

È fondamentale. La musica, all’inizio, non era un’arte come la intendiamo oggi, ma una scienza del quadrivio, insieme ad aritmetica, geometria e astronomia. La musica nasce come proporzione: rapporti, numeri, vibrazioni. Pitagora, Keplero, Galileo… tutti vedevano la musica come chiave per capire l’universo. Keplero ha scritto un libro di 500 pagine, e circa 200 sono pentagrammi! Oggi questa dimensione si è un po’ persa. Tutti parlano di emozione, ispirazione – giustissimo – ma si dimentica che strumenti, algoritmi, registrazione, MP3, streaming, autotune… sono solo matematica. E chi studia questa parte oggi può trovare anche molto lavoro.

Oggi si parla molto di musica e intelligenza artificiale. Come vedi questo cambiamento?

Si apre un mondo enorme. Siamo già a un livello in cui è difficile distinguere una produzione umana da una dell’IA. Questo mi affascina ma mi spaventa.
Però ci sono diverse cose da considerare. La prima è che l’AI È evoluzione. Che ci piaccia o no, conviveremo sempre più con l’IA che spazzerà via la fuffa: tutti quei pseudo-artisti senza una vera identità verranno inevitabilmente superati. Per emergere bisognerà essere davvero bravi. Ma la vera arte non morirà mai, perché non è solo udire, è vedere. È un corpo che suona, suda, si muove, comunica. Una macchina non può avere storia. L’esempio di Picasso lo spiega bene: quando fece uno schizzo in due secondi e gli dissero che era poco, rispose “non sono due secondi, sono 60 anni più due secondi”. L’IA può imitare, ma non può avere una vita.

Pensi che questa evoluzione porterà più attenzione alla musica dal vivo?

Sì, e non solo alla musica suonata, ma anche ai racconti, alle storie.
Perché un umano ha una storia, una macchina no. Il pubblico vorrà sempre più esperienze reali, non solo brani perfetti. Il live diventerà una forma d’arte sempre più importante.

di Federico Arduini

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