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rihanna super bowl

Al Super Bowl il vero show è Rihanna col pancione

Era la prima finalissima tra due lanciatori neri in un Super Bowl, per la prima volta in Arizona. Ma tutto è diventato secondario rispetto allo show di Rihanna con il pancione

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Al Super Bowl il vero show è Rihanna col pancione

Era la prima finalissima tra due lanciatori neri in un Super Bowl, per la prima volta in Arizona. Ma tutto è diventato secondario rispetto allo show di Rihanna con il pancione

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Al Super Bowl il vero show è Rihanna col pancione

Era la prima finalissima tra due lanciatori neri in un Super Bowl, per la prima volta in Arizona. Ma tutto è diventato secondario rispetto allo show di Rihanna con il pancione

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Era la prima finalissima tra due lanciatori neri in un Super Bowl, per la prima volta in Arizona. Ma tutto è diventato secondario rispetto allo show di Rihanna con il pancione

Magnetica, meravigliosa, di rosso fiammante vestita, su un palco che sale e scende, montato in tempi record durante l’intervallo del Super Bowl. È  di nuovo il tempo delle regine. È tornata anche Rihanna, a sette anni dall’ultima esibizione. A differenza di un’altra “queen legend” come Beyoncé che ha recentemente scelto una festa per un hotel arabo per tornare a marcare il territorio e creare un cortocircuito mediatico intorno al lancio del suo tour mondiale, Rihanna si è presentata nello show più atteso dagli americani, davanti a oltre 100 milioni di spettatori, tra tv, tablet, smartphone.

Hanno vinto i Kansas City Chiefs del fuoriclasse Patrick Mahomes, è stata la prima finalissima tra due lanciatori neri. Si è giocata la finale per la prima volta in uno stato (Arizona) in cui è ora lecito scommettere sugli eventi sportivi. Ma tutto è stato secondario, solo paesaggio rispetto allo show di Rihanna. Quindici minuti di magia, sensualità, consapevolezza da star.

Rihanna ha scelto il Super Bowl per annunciare la sua seconda maternità. Sguardo che squarcia la telecamera, ha aperto la giacca e si è accarezzata il grembo, a evidenziare lo stato della gravidanza. Il suo corpo di ballo ha accompagnato l’esibizione mostrando un pancione finto, gli americani sono andati in estasi, sul web ci sono in queste ore solo le immagini dell’artista di origini giamaicane che canta, accarezzandosi il ventre. Prima della conferma ufficiale della gravidanza, dallo staff della cantante.

Prima del Super Bowl, Rihanna aveva spiegato che la sua maternità (il primo figlio ha nove mesi) è stata la benzina che l’ha spinta di nuovo sul palco. “Quando diventi mamma, c’è qualcosa che ti fa sentire come se potessi conquistare il mondo”, ha detto Rihanna, “E il Super Bowl è uno dei palcoscenici più grandi: da una parte ti fa paura, ma dall’altra è la sfida più grande di tutte, ed è importante che mio figlio lo veda”.

Magari non lo è, ma questo segmento di Super Bowl sembra una risposta a quanto è venuto fuori dall’ultima puntata del Festival di Sanremo. Una regina che canta e domina la scena a piacimento, mentre in Liguria nei primi cinque posti della classifica finale c’è stata una cinquina di interpreti maschili, come denunciato dal vincitore di Sanremo, Marco Mengoni. E poi l’annuncio della gravidanza di Rihanna, ostentato davanti agli americani, mentre qualche ora prima Chiara Francini spiegava, nel suo delicato monologo notturno, del peso del tabù-gravidanza. 

Una specie di filo invisibile che unisce i due eventi, che restano diversi, diversissimi, ma anche con dei punti di contatto. Il format di Sanremo, almeno sino all’edizione di quest’anno – perché per il futuro ci saranno diversi nodi da sciogliere – somiglia sempre più a quei mega-show come il Super Bowl in cui c’è spazio un po’ per tutto, in nome dello dello spettacolo e anche del giro d’affari.

Diritti civili, temi etico-sociali, gender fluid, body positivity, guerra in Ucraina,  depressione. Al Super Bowl del 2016 Beyoncé ha portato in scena un omaggio ai Black Panther e al movimento Black Lives Matter. Nel 2018 c’è stato il mini-spot del colosso delle auto Chrysler in cui è stato inserito un segmento di un discorso di Martin Luther King del 1968. Insomma, vale tutto, il punto forte è la visibilità, richiamare l’attenzione di una platea sempre più ampia, dai più giovani alle fasce più mature. E poi passare all’incasso: per Sanremo si è ipotizzato un giro d’affari da 190 milioni di euro (studio di EY), al Super Bowl si è andati oltre i 600 milioni di dollari.  Di Annalisa Grandi

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