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Rino Gaetano raccontato dal nipote Alessandro: “Rino raccontava ciò che siamo. Il 2026 sarà un grande anno”

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Abbiamo incontrato di persona Alessandro Gaetano, che insieme alla famiglia custodisce e porta avanti l’eredità artistica di Rino

Rino Gaetano

Rino Gaetano raccontato dal nipote Alessandro: “Rino raccontava ciò che siamo. Il 2026 sarà un grande anno”

Abbiamo incontrato di persona Alessandro Gaetano, che insieme alla famiglia custodisce e porta avanti l’eredità artistica di Rino

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Rino Gaetano raccontato dal nipote Alessandro: “Rino raccontava ciò che siamo. Il 2026 sarà un grande anno”

Abbiamo incontrato di persona Alessandro Gaetano, che insieme alla famiglia custodisce e porta avanti l’eredità artistica di Rino

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L’occasione è una di quelle che profumano di memoria ma anche di futuro: la riedizione di “Io ci sto“, uno dei lavori più iconici di Rino Gaetano, che torna in questi giorni arricchito da nuovi materiali e persino da un inedito riemerso per caso dalle tracce originali. In questo clima di riscoperta e celebrazione, abbiamo incontrato di persona Alessandro Gaetano, che insieme alla famiglia custodisce e porta avanti l’eredità artistica di Rino. Ne è nata una conversazione intensa, fatta di ricordi, scoperte inaspettate, decisioni condivise con l’etichetta, e soprattutto del peso – e del privilegio – di gestire un patrimonio musicale che continua a parlare a generazioni diverse. Questa è la nostra chiacchierata.

Come nasce l’idea di ripartire con la celebrazione di “Io ci sto” in questa nuova versione? E com’è stato prendere in mano uno script che ha viaggiato nel tempo fino ad oggi?

Accade così: ci sentiamo con Sony, con cui abbiamo da anni un rapporto di grande sinergia. Parlando delle varie possibilità, ci siamo detti che era il momento giusto per ristampare “Io ci sto“, anche perché c’era questo inedito fantastico, “Un film a colori”. Continuando a confrontarci con l’etichetta, abbiamo raccolto materiali, foto e così via. A quel punto mi è venuta l’idea: “Abbiamo il manoscritto della bozza che Rino scrisse per l’ipotetico video di “Io ci sto“, perché non inserirlo nel disco?”. È un documento bellissimo, scritto di suo pugno. Da quel manoscritto è poi nata anche l’idea del video.

Oggi il video è uno strumento comunicativo importante, capace di intercettare anche chi magari non conosce bene Rino. Rispetto all’inedito, invece, com’è stato far emergere una canzone così dopo tanti anni, in un mondo completamente cambiato?

Sony ha avuto modo di aprire le tracce originali di “Io ci sto”, e guardando i led delle tracce si sono accorti che c’era una voce in più. Così è riemersa questa perla, “Un film a colori“. Probabilmente è una canzone d’amore, anche se non so se Rino volesse davvero parlare d’amore in quel testo.

A livello più emotivo, cosa hai provato quando hai sentito per la prima volta questo materiale “nuovo”?

Io l’ho ascoltata già realizzata, ma devo dire che in casa abbiamo sempre avuto il testo del brano. Quindi era una mezza novità, però mi ha sorpreso ritrovarla su “Jet set“. Avevamo solo il testo con scritto “Un film a colori“. Ho pensato potesse essere un gioco di Rino, un’idea nata per scherzo o per qualche amico. Anni fa mi capitò di sentire un altro brano suo, famoso, con un testo completamente diverso: uno lo ascolta e dice “ma è veramente Rino?”. Mi ha dato la stessa sensazione: bellissimo, ma inaspettato. Forse aveva un motivo particolare per inciderlo in quel modo.

Chissà quante altre cose avrebbe potuto fare artisticamente. Per te com’è gestire questo universo discografico e la responsabilità di un nome come il suo?

Con mia madre lavoriamo a 360 gradi su tutto ciò che riguarda Rino: dall’etichetta ai progetti paralleli. È un patrimonio, ma anche una grande responsabilità. Bisogna fare le cose bene, con senso ed etica. Perché una cosa è parlare per me stesso, un’altra è rappresentare una persona che non c’è più. Serve un profondo rispetto.

Secondo te cosa rende le sue canzoni così capaci di intercettare generazioni diverse?

Le canzoni più popolari sono “semplici” da eseguire – permettimi il termine – ma non è scontato. “Gianna” sono tre accordi, “Berta filava” uguale. Non tutte sono così, ma questi brani permettono di riconoscerli in pochi secondi.
Ci sono canzoni molto più complesse da suonare, ma quelle più immediate entrano facilmente anche solo con tre note non impegnative. Inoltre molti genitori spiegano ai figli chi fosse Rino, e questa musica resta. E poi, i tempi non sono cambiati così tanto: Rino rappresentava e raccontava ciò che siamo tuttora.

Crescendo, però, dentro le sue canzoni si scoprono strati nuovi. Anche a te è capitato?

Sì. Riascoltando Rino da adulto ho apprezzato e approfondito tutto in modo diverso: testi, musiche, arrangiamenti. Perché è vero che alcuni brani sono semplici, ma altri hanno suoni ricercati: sitar, Hammond, nacchere su “Sombrero”. C’era uno studio profondo, non era solo chitarra e voce.

Secondo te oggi c’è qualcuno che, senza raccoglierne l’eredità, abbia delle attitudini che ricordano Rino?

Negli anni ho menzionato alcuni nomi che, in parte, mi hanno ricordato quel suo senso di giustizia: Max Gazzè, per alcuni versi Daniele Silvestri, più recentemente Corsi. E forse Brunori per la tonalità. Ma sono elementi, sprazzi: ognuno è giustamente sé stesso.

In questi giorni è stato al cinema anche il film/documentario su di lui. Com’è stato seguire quel lavoro?

Abbiamo fatto una ricerca del materiale già usato per la mostra e fornito documenti, taccuini, fotografie. Abbiamo collaborato molto. È un documentario rispettoso, che non parla solo dell’artista, ma della persona e del periodo storico, cosa non scontata.

È importante perché senza il contesto storico non si capisce davvero l’impatto di un artista. Ci sono altri progetti in arrivo?

Come famiglia stiamo già pensando al 2026, ma non posso dire nulla sulle canzoni. Posso solo dire che ci saranno grandi novità e grandi idee.

di Federico Arduini

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