Sam Cooke e quell’insopprimibile anima gospel
Per Sam Cooke il 1963 fu l’anno della svolta, grazie alla sua intuizione, intraprese una nuova strada che fu un enorme successo: il gospel
Sam Cooke e quell’insopprimibile anima gospel
Per Sam Cooke il 1963 fu l’anno della svolta, grazie alla sua intuizione, intraprese una nuova strada che fu un enorme successo: il gospel
Sam Cooke e quell’insopprimibile anima gospel
Per Sam Cooke il 1963 fu l’anno della svolta, grazie alla sua intuizione, intraprese una nuova strada che fu un enorme successo: il gospel
Per Sam Cooke il 1963 fu l’anno della svolta, grazie alla sua intuizione, intraprese una nuova strada che fu un enorme successo: il gospel
I primi mesi del 1963 sono per Sam Cooke a dir poco febbrili. Il 12 gennaio è in un locale di Miami a registrare il suo primo album dal vivo (che verrà pubblicato solo più di vent’anni dopo, nel 1985): il “Live at Harlem Square Club”, considerato dai vertici della Rca Victor dell’epoca troppo rude, gracchiante, per nulla in linea con l’immagine pop di Cooke che stavano meticolosamente costruendo. In effetti, la grinta del cantautore di Clarksdale sborda, tracima, è pura crudezza. È dissonanza. E fa di “Live at Harlem Square Club” uno dei dischi più intensi, paragonabile al leggendario “At Folsom Prison” di Johnny Cash.
A febbraio esce “Mr. Soul”, il nono album in studio di Cooke: orchestra pomposa, voce calda e rassicurante, canzoni scritte non di proprio pugno (a eccezione di “Nothing Can Change This Love”). Sembra quasi un altro cantante: preciso, ineccepibile, ma distante anni luce del graffio vocale-esistenziale che si avverte nello spericolatissimo live in Florida. A Cooke – come sarà poi per Aretha Franklin – vanno stretti gli abiti preconfezionati, soffre le etichette, non può in alcun modo fornire una rappresentazione stereotipata di sé. Al pari di ogni genuino artista (tipo l’allora emergente Bob Dylan, la “follia di Hammond”), Sam gioca in controtempo e sta scegliendo autonomamente, intuitivamente una nuova direzione, una strada che abbandona il mainstream e collima con il ritorno alle radici: il gospel. Giovanissimo, assieme ai Soul Stirrers aveva inciso pezzi quali “Jesus Gave Me Water”, “How Far Am I from Canaan?”, “Jesus Paid the Debt”. Raggiunto il successo, era arrivato il crossover con il pop (da cui nacque il soul vero e proprio). Ma a Cooke – che non sapeva di avere in realtà ancora pochi mesi di vita – non bastava. Ecco perché in contemporanea con l’uscita di “Mr. Soul”, nelle ultime notti di febbraio con alcuni musicisti registra quasi furtivamente “Night Beat”, edito in agosto, un’opera in stile rhythm & blues che si apre con lo spiritual del XIX secolo “Nobody Knows the Trouble I’ve Seen”, reso celebre dalle versioni di Louis Armstrong e Mahalia Jackson. «Nessuno conosce il mio dolore, / nessuno conosce i guai che ho visto. / Gloria, alleluia. / Se arrivi prima di me, / oh, oh sì Signore, / non dimenticare di dire a tutti i miei amici che vengo anch’io. / Whoa, oh sì Signore».
Dopo un brutto episodio di razzismo in Louisiana e con l’ascolto di “Blowin’ in the Wind”, qualcosa muta definitivamente in Cooke. Ne ha abbastanza delle canzoni ‘leggere’. Vuole un pezzo di spessore spirituale, civile. Lo sogna, letteralmente. Negli ultimi mesi del 1963 scrive il suo capolavoro, “A Change Is Gonna Come”, tutt’oggi simbolo della lotta per i diritti degli afroamericani, al terzo posto nella classifica delle 500 migliori canzoni di sempre stilata dalla rivista “Rolling Stone” nel 2021. «Ci sono state volte in cui ho creduto di non potercela fare a lungo, / ma ora penso di riuscire ad andare avanti. / È passato molto, molto tempo, / ma so, oh-oo-oh, che un cambiamento arriverà, / oh sì, sarà così». Il gospel gli aveva restituito l’inquietudine. E la speranza.
Di Alberto Fraccacreta
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