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Si fa presto a dire Dirty Dancing

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Ecco il video del celebre ballo di Baby e Johnny. Confrontarsi con i miti è una straordinaria opportunità ma anche un’inevitabile maledizione; capita anche per la trasposizione teatrale in musical del leggendario “Dirty Dancing”

Si fa presto a dire Dirty Dancing

Ecco il video del celebre ballo di Baby e Johnny. Confrontarsi con i miti è una straordinaria opportunità ma anche un’inevitabile maledizione; capita anche per la trasposizione teatrale in musical del leggendario “Dirty Dancing”

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Si fa presto a dire Dirty Dancing

Ecco il video del celebre ballo di Baby e Johnny. Confrontarsi con i miti è una straordinaria opportunità ma anche un’inevitabile maledizione; capita anche per la trasposizione teatrale in musical del leggendario “Dirty Dancing”

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Confrontarsi con i miti è una straordinaria opportunità ma anche un’inevitabile maledizione. Capita anche per la trasposizione teatrale in musical del leggendario “Dirty Dancing”, il film del 1987 con il grande e compianto Patrick Swayze e Jennifer Grey.

Produzione di travolgente successo al botteghino a Londra nel West End, abbiamo avuto l’opportunità di seguire la prima Italiana al teatro Carcano di Milano. Dicevamo di opportunità e “maledizione“: la macchina della memoria, nel caso di un film che praticamente abbiamo visto tutti come “Dirty Dancing”, è di una potenza indescrivibile. Le canzoni, i balletti, le movenze degli attori, le battute del film a un tempo di una semplicità assoluta e un’efficacia capace di scolpirsi nel tempo fanno sì che chiunque abbia la sensazione di “sentirsi a casa“. Però questa è anche la maledizione di cui sopra, se vogliamo la trappola in cui si cade. Perché i paragoni, per loro natura impossibili e crudeli, scattano istantaneamente, determinati proprio da quella macchina della memoria che se ne va per i fatti suoi.

Allora i volti del film inevitabilmente si sovrappongono ai volti sul palcoscenico con esiti in questo caso talvolta stranianti o molto deludenti. Nulla da dire sulla parte coreografica, curata sin nei minimi dettagli in una vera e propria sovrapposizione con l’originale. La recitazione, però, amplia talvolta a dismisura la distanza con il film, che peraltro era recitato bene ma non certo al livello di un Gassman padre alle prese con Shakespeare. Va bene, poi, cercare la semplicità nella regia, ma è sempre meglio non esagerare perché il minimalismo va saputo trattare.

Sono operazioni che in linea di massima da un punto di vista commerciale comunque funzionano, pur mettendo in conto una quota inevitabile di delusione e delusi. Negli ultimi mesi ci è capitato di assistere ad altre due rappresentazioni di questa natura, “Ritorno al Futuro” proprio a Londra e la “Febbre del Sabato Sera” di nuovo a Milano. Entrambe, non ce ne vogliano, ci sono sembrate di livello molto superiore. “Ritorno al Futuro” è una produzione di caratura Hollywoodiana e il budget ha sempre il suo peso, ma non è mai solo una questione di soldi a disposizione. Anche in Italia c’è un pubblico potenziale vastissimo interessato a questo genere di teatro, molto pop e profondamente trasversale, come dimostrato per esempio proprio dall’esito sul palco della trasposizione della pellicola con John Travolta.

Si tratta di alzare l’asticella e si possono ottenere risultati magnifici.

“Nessuno può mettere baby in un angolo“ – come ricorda per l’eternità Patrick Swayze in “Dirty Dancing” – ma devi saperlo recitare come cinema e teatro comandano.

di Fulvio Giuliani

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