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Slebo e “Power Fantasia II”, tra elettronica e post-punk

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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cristian Santori degli Slebo per sapere com’è nato il loro progetto e il nuovo EP “Power Fantasia II”

Slebo e “Power Fantasia II”, tra elettronica e post-punk

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cristian Santori degli Slebo per sapere com’è nato il loro progetto e il nuovo EP “Power Fantasia II”

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Slebo e “Power Fantasia II”, tra elettronica e post-punk

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cristian Santori degli Slebo per sapere com’è nato il loro progetto e il nuovo EP “Power Fantasia II”

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Dopo il primo capitolo “Power Fantasia”, gli Slebo tornano con l’ideale “lato B” dell’ep, “Power Fantasia II”, che include due brani inediti: “Mi vuoi” e “Sei la mia società”. Il gruppo ha portato sul palco del Covo Club la sera del 25 aprile un live energico, dinamico e vibrante, proponendo i brani del nuovo EP insieme ad alcune tracce del lavoro precedente.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cristian Santori, il batterista della band, il cui sound fonde l’elettronica e la techno con la dimensione live del post-punk, per farci raccontare com’è nato il progetto e questo ultimo lavoro in studio.

Come è nato il vostro progetto?
All’inizio io non c’ero ancora. C’erano Daniele e suo fratello Raniero, che è tuttora un nostro grande collaboratore. Ascoltando le produzioni di Daniele, molto orientate verso l’elettronica — nonostante entrambi venissimo da un background punk rock californiano — si sono resi conto che in Italia mancava qualcosa di simile a quello che ascoltavamo spesso. Così hanno deciso di creare semplicemente la musica che amavano: un’elettronica suonata e cantata in italiano. Il progetto poi è evoluto e dopo vari cambi di formazione si è arrivati alla formazione attuale: il duo, composto da me e Daniele.
Io suono la batteria, mentre Daniele si occupa della produzione di sintetizzatori, bassi e delle parti vocali.

Come avete lavorato alla creazione di “Power Fantasia” e “Power Fantasia II”, due lati della stessa medaglia?
Abbiamo iniziato lavorando a dieci brani, senza porci subito il problema dell’ordine o del raggruppamento delle uscite. Man mano che procedevamo, però, ci siamo resi conto che i pezzi si dividevano naturalmente in due macro-gruppi: da una parte c’erano i brani di elettronica più ballabile, che rappresentano un po’ la nostra comfort zone e che sono confluiti nel primo volume; dall’altra c’erano tracce più sperimentali, in cui ci siamo concentrati maggiormente sulle sonorità e meno sul ritmo.

Per questa seconda parte, infatti, abbiamo fatto un lavoro più certosino di sound design, cercando di esplorare nuove direzioni sonore. Alla fine, abbiamo pensato che fosse giusto proporre i due progetti separati, anche se collegati tra loro, proprio per rispettare le diverse modalità e i diversi mood che li caratterizzano. Devo dire che è stata una scelta positiva: a noi piace ancora concepire gli album come dei concept album, con un filo comune che lega ogni uscita. È un approccio che sentiamo molto nostro

Credete ancora molto nell’idea dell’album come progetto completo
Assolutamente sì. Non è che vogliamo andare a forza in controtendenza — anche perché le cose cambiano ed è giusto adattarsi — però da questo punto di vista ci prendiamo la briga, umilmente, di dire che ci piace ancora l’approccio di una volta: trovare un concetto e costruirci attorno un intero lavoro. Lo dico con convinzione. Non voglio sembrare quello “alla vecchia maniera” — ho 34 anni, sono solo un po’ più grande di Daniele che ne ha 25 — ma sono cresciuto con l’idea dell’album come opera completa.
Forse è anche una deformazione generazionale, ma preferisco quel tipo di approccio.

Credo che, concentrandosi solo sui singoli, si rischi di allontanarsi dalla dimensione più artistica della musica, riducendola sempre di più a una questione commerciale o imprenditoriale.
Non dico che sia sbagliato — ognuno fa ciò che vuole — ma per noi è importante mantenere una concezione più artistica della musica. Preferiamo lavorare su un progetto intero, con un filo concettuale che leghi tutto, piuttosto che puntare solo su singoli pezzi.

Quali sono le vostre principali influenze musicali?
Io sono sempre dell’idea che, soprattutto oggi, sia veramente difficile fare qualcosa di completamente innovativo. Non è impossibile, certo, ma è complicato. Però si può comunque essere originali lavorando sulle contaminazioni e su quello che ci piace. All’inizio eravamo più elettronici puri, ci affidavamo molto all’ispirazione e a influenze molto nette. Come già citato, ci piacevano molto i Crystal Castles, e anche tutta la scena elettronica tedesca ci affascinava tanto.
Ultimamente, però, soprattutto in alcune produzioni su cui stiamo lavorando adesso — che ancora non sono uscite, ma qualcosa si intravede già in Power Fantasia II — ci stiamo avvicinando un po’ di più a una concezione più “da band”, meno orientata al party e un po’ meno elettronica, pur mantenendo sempre il nostro carattere elettronico di base. Abbiamo cominciato ad assorbire influenze che vanno dal pop punk agli Idles, fino a tutto ciò che viene dalla scena inglese, come i Viagra Boys, che ci piacciono tantissimo.
Diciamo che navighiamo tra le band elettroniche e l’energia più cruda delle band inglesi, mantenendo sempre il nostro stile. Poi, ovviamente, ci sono anche altre influenze, ma queste sono sicuramente tra le più forti in questo momento

Cosa pensi della scena elettronica italiana oggi?
Penso che sia ancora un ambito non del tutto conosciuto, ma che offre ottimi orizzonti di innovazione e originalità. Soprattutto per chi lavora con l’elettronica, questa evoluzione può rimanere costante ancora a lungo. Negli ultimi tempi c’è sicuramente molto più fermento intorno al mondo dell’elettronica, sia in ambito pop che in quello più puro. Però, allo stesso tempo, c’è ancora tantissimo da esplorare.
Tanta musica esiste, ma spesso rimane nascosta, sconosciuta ai più.

di Federico Arduini

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