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Solo dei versi possono, forse, raccontare

La tragedia avvenuta a Piacenza, che ha visto vittime quattro giovani, può essere raccontata solo dai versi di Giuseppe Ungaretti.
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Solo dei versi possono, forse, raccontare

La tragedia avvenuta a Piacenza, che ha visto vittime quattro giovani, può essere raccontata solo dai versi di Giuseppe Ungaretti.
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Solo dei versi possono, forse, raccontare

La tragedia avvenuta a Piacenza, che ha visto vittime quattro giovani, può essere raccontata solo dai versi di Giuseppe Ungaretti.
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La tragedia avvenuta a Piacenza, che ha visto vittime quattro giovani, può essere raccontata solo dai versi di Giuseppe Ungaretti.
Piacenza è una città pietrificata nel dolore. L’insondabile dio della vita e della morte si è preso quattro giovani ragazzi nel modo più inspiegabile, quasi senza colpe, mentre la «limpida meraviglia» e il «delirante fermento» della giovinezza li avevano spinti lì, dopo una festa di compleanno e in una notte di nebbia fitta, sulle rive di quella Trebbia dall’azzurro di tenebra cantata da Giorgio Caproni. Ventenni di una bellezza acerba e fragile come di una speranza bambina. Sono stati rinvenuti senza vita da un passante, intrappolati fra le lamiere contorte dell’auto. E forse solo i versi del nostro più grande poeta del Novecento riescono a squarciare il muro del dolore. Nella poesia “Gridasti, soffoco” dedicata al figlio morto, Giuseppe Ungaretti riesce quasi a invertire positivamente il senso di un destino «… Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita». Avverte quasi il senso di colpa e il rimorso di un’odiosa vecchiaia usurpatrice degli anni del giovane Antonietto («…Sconto, sopravvivendoti, l’orrore / degli anni che t’usurpo, / e che ai tuoi anni aggiungo, / demente di rimorso»), ma trova una stupefacente forza interiore in grado di trasfigurare in bene la disperazione: «poi nella cassa ti verranno a chiudere / per sempre. No, per sempre / sei animo della mia anima, e la liberi. / Ora meglio la liberi / che non sapesse il tuo sorriso vivo: / provala ancora, accrescile la forza, / se vuoi – sino a te, caro! – che m’innalzi / dove il vivere è calma, è senza morte». di Fabio Torrembini

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