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“Spellbound” e i divorzi “di cartone”, genitori contro il nuovo film Netflix

Il caso di “Spellbound”, il nuovo film d’animazione prodotto da Netflix, che ha suscitato le critiche di molti genitori perché «normalizza il divorzio»

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“Spellbound” e i divorzi “di cartone”, genitori contro il nuovo film Netflix

Il caso di “Spellbound”, il nuovo film d’animazione prodotto da Netflix, che ha suscitato le critiche di molti genitori perché «normalizza il divorzio»

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“Spellbound” e i divorzi “di cartone”, genitori contro il nuovo film Netflix

Il caso di “Spellbound”, il nuovo film d’animazione prodotto da Netflix, che ha suscitato le critiche di molti genitori perché «normalizza il divorzio»

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Il caso di “Spellbound”, il nuovo film d’animazione prodotto da Netflix, che ha suscitato le critiche di molti genitori perché «normalizza il divorzio»

Erano gli anni Ottanta e Novanta quando i cartoni animati destinati ai più piccoli, per lo più di provenienza nipponica, mostravano una realtà fatta di orfanelle (“Candy Candy”), incesti (“Georgie”), padri alcolizzati (“Kiss me Licia”), persone transgender (“Lady Oscar”) e ninfette sexy pronte a sedurre (“Lamù”). Gli allora genitori lasciavano che le giovani menti dei pargoli si nutrissero di quelle immagini e di quelle storie, senza porsi il minimo problema rispetto ai messaggi più o meno disfunzionali che contenevano. D’altronde, loro erano cresciuti con fiabe in cui c’erano genitori che abbandonavano i figli nel bosco, signore anziane che avvelenavano fanciulle perché gelose della loro giovinezza o che imprigionavano bambini per poi mangiarseli.

Sono passati gli anni e la genitorialità ha gradualmente smesso di essere un dato di fatto, trasformandosi in una performance scandita dal giudizio sociale e messa costantemente sotto una terrificante lente d’ingrandimento. Un cambiamento lento ma costante, che ha portato al proliferare di libri di pedagogia indirizzati a madri e padri e a una sconcertante consapevolezza: come fai, sbagli. Questo clima di paura e incertezza rispetto a come si fa i genitori si è riversato su ogni aspetto della vita quotidiana, inclusi i cartoni animati da far vedere ai figli. È il caso di “Spellbound”, il nuovo film d’animazione prodotto da Netflix, che ha suscitato le critiche di molti genitori perché «normalizza il divorzio».

Brevemente, “Spellbound” è la storia di una principessa adolescente che deve salvare i suoi genitori da un incantesimo che li ha trasformati in mostri. Dopo varie peripezie riuscirà nell’intento, ma scoprirà anche che la sua famiglia non potrà mai più tornare come prima. In pratica, vissero felici e contenti ma solo da divorziati. La cosa di per sé pare una bazzecola, rispetto alle vicissitudini dei personaggi dei cartoni di un tempo. E fa effetto che a criticare il film siano proprio alcuni dei bambini che quei cartoni li vedevano, oggi genitori.

Va però considerato che c’è una bella differenza tra gli intenti narrativi di ieri e quelli pedagogici di oggi. Dietro alle vicissitudini di Candy o Lady Oscar non c’era infatti alcun pensiero che non fosse quello di rendere la storia la più avvincente possibile, mentre oggi è impensabile produrre un film per bambini che non sia stato scritto con un team di psicologi col solo scopo di affrontare un tema di attualità in modo clinicamente ineccepibile. E se questo sembra essere in linea con la tendenza a voler proteggere i più piccoli da contenuti non adatti, fornendo al tempo stesso uno strumento pedagogico, dall’altro appesantisce inevitabilmente il film, privandolo di quella dimensione leggera e fantastica che caratterizzava le storie di ieri.

Insomma, se prima i genitori chiedevano a gran voce cartoni ‘educativi’, in grado di fornire loro un alibi per lasciare i figli un paio d’ore davanti allo schermo, adesso certe mamme e certi papà sembrano quasi infastiditi all’idea che sia lo schermo a fornire ai bambini una certa prospettiva sul mondo, giudicata troppo politically correct o eccessivamente sbilanciata su temi socialmente sensibili. Di fatto uscire dall’impasse non è semplice, così come non è semplice intercettare le esigenze di un pubblico sempre più difficile e contraddittorio, che non vede l’ora di scaricare il famoso “come fai, sbagli” su chiunque, comprese le case di produzione cinematografica.

di Maruska Albertazzi

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