Steve Jobs, il magnifico tiranno
Esce un nuovo documentario su Steve Jobs, audace, brillante e visionario. Ma anche un leader spietato e senza scrupoli
Steve Jobs, il magnifico tiranno
Esce un nuovo documentario su Steve Jobs, audace, brillante e visionario. Ma anche un leader spietato e senza scrupoli
Steve Jobs, il magnifico tiranno
Esce un nuovo documentario su Steve Jobs, audace, brillante e visionario. Ma anche un leader spietato e senza scrupoli
Esce un nuovo documentario su Steve Jobs, audace, brillante e visionario. Ma anche un leader spietato e senza scrupoli
Audace, brillante, visionario. Ma anche un leader spietato e senza scrupoli, brutale. Un moderno Citizen Kane, un uomo dal grande talento ma completamente privo di empatia. Sono passati quasi tredici anni dalla prematura morte di Steve Jobs e non sono mancati libri, film e documentari per ripercorrere la sua straordinaria cavalcata alla guida di Apple. Perlopiù agiografie, con un’unica ma sontuosa eccezione: parliamo di “Steve Jobs – L’uomo nella macchina” di Alex Gibney (sabato 13 aprile alle 21,15 su Sky Documentaries e in streaming solo su Now, disponibile anche on demand), regista già premio Oscar nel 2008 con il documentario “Taxi to the Dark Side”.
Chi è veramente l’uomo con il dolcevita nero, descritto da tutti come uno dei personaggi più importanti della nostra epoca? Il lavoro di Gibney risponde a questa domanda regalando allo spettatore una biografia schietta e sincera, un esame critico dell’imprenditore di San Francisco. I valori e l’eredità di Steve Jobs permeano ancora oggi la cultura della Silicon Valley e dell’intera industria tecnologica, ma la sua vera essenza è fatta di luci e di ombre, di talento e di tirannia, di sacrificio e di cinismo.
L’impatto di Steve Jobs sulla cultura è innegabile, come testimoniato dalle immagini registrate in giro per il mondo in occasione della sua scomparsa. Dagli Stati Uniti al Giappone, passando per l’Europa: milioni di persone in lutto per la scomparsa di mister Apple, volto di prodotti di successo come Macintosh, iMac, iPod, iPhone e iPad. Un trattamento speciale riservato solo a grandi artisti oppure ai più grandi attivisti per i diritti civili, basti pensare a John Lennon o a Martin Luther King. Steve Jobs era un iconoclasta coraggioso e brillante che «ha inventato tutto», come evidenziato da un ragazzino. Ma sarebbe un clamoroso errore non andare oltre.
Il documentario di Gibney analizza il percorso dell’imprenditore da un punto di vista più oggettivo e meno ottimista, accendendo i riflettori sui dossier più scomodi: il rifiuto della paternità in giovane età, il bullismo nei confronti dei reporter che mostrarono in anteprima il prototipo di iPhone 4, le manovre al limite del legale con le azioni. E ancora, lo sfruttamento dei lavoratori cinesi a bassa retribuzione e la delocalizzazione dei beni aziendali per evitare le tasse statunitensi. Poi c’è un altro aspetto che merita una riflessione: Steve Jobs è stato il frontman-narratore ideale, ma del successo di Apple va dato merito anche alle talentuose maestranze dietro le quinte, quasi mai citate nelle filippiche del leader.
L’intento del regista – indagare sentimenti e meriti di Steve Jobs con la massima imparzialità – è confermato dalle riflessioni su un’altra grande impresa di mister Apple. Il riferimento è all’enorme lavoro alla guida della Pixar, acquistata nel 1986 dopo l’addio (temporaneo) alla sua creatura: si concentrò sulla produzione di lungometraggi al computer realizzando “Toy Story” nel 1995, primo film di animazione realizzato completamente in computer grafica 3D che si aggiudicò un Oscar e decine di altri riconoscimenti in giro per il mondo. Il primo di una lunga serie di successi che hanno tracciato un solco nella storia del cinema.
di Massimo Balsamo
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Tag: Cinema, spettacoli
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