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Superman gay non è solo una scelta politica

La Dc Comics ha ideato il Superman gay. Quella che potrebbe sembrare una scelta solo di tipo politico tradisce in realtà ragioni economiche.
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Superman gay non è solo una scelta politica

La Dc Comics ha ideato il Superman gay. Quella che potrebbe sembrare una scelta solo di tipo politico tradisce in realtà ragioni economiche.
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Superman gay non è solo una scelta politica

La Dc Comics ha ideato il Superman gay. Quella che potrebbe sembrare una scelta solo di tipo politico tradisce in realtà ragioni economiche.
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La Dc Comics ha ideato il Superman gay. Quella che potrebbe sembrare una scelta solo di tipo politico tradisce in realtà ragioni economiche.
Da ragazzino ero un appassionato lettore delle avventure di Superman, che in realtà allora si chiamava Nembo Kid. La cosa che più mi atterriva era la possibilità che qualche nemico malvagio – tipo Luthor o Brainiac – potesse attirarlo in una trappola e lo facesse indebolire, o addirittura morire, esponendolo alla kryptonite verde. Gli altri tipi di kryptonite (rossa, dorata, bianca) mi spaventavano di meno perché i loro effetti erano meno drammatici. Mai avrei pensato, allora, che in futuro il mio eroe avrebbe potuto incontrare la cryptonite rosa, che trasforma un eterosessuale in omosessuale, come nel 2003 è accaduto sul numero 79 di “Supergirl” (la ragazza d’acciaio, versione femminile di Superman). Ma ancor meno avrei immaginato che un giorno gli autori del celebre fumetto avrebbero disegnato un Superman gay che fa coming out con il giornalista hacker dai capelli rosa Jay Nakamura; per di più motu proprio perché così gli detta il cuore, non perché sia venuto in contatto con un pezzo di kryptonite rosa che capovolge l’orientamento sessuale a prescindere dalla volontà del diretto interessato. Per me sarebbe stato come Giovanna d’Arco che diventa casalinga, Napoleone che fa il pastore di pecore o – per metterla in termini attuali – Gesù Cristo che partecipa a “X Factor” oppure Putin che distribuisce piatti caldi con la Caritas. Ora però sono cresciuto, non leggo più “Superman”, faccio il sociologo e mi limito a chiedermi perché gli autori abbiano scelto di snaturare Superman. Intanto bisogna dire che, in realtà, nemmeno i progressistissimi autori di “Superman” hanno osato dare un partner maschio al loro personaggio, emblema della virilità. Per regalare un amore omosessuale al supereroe di Krypton hanno prudentemente scelto suo figlio Jon Kent, anche lui dotato di ultrapoteri ma sensibile e delicato, ben più sintonizzato del padre con i grandi temi del nostro tempo: riscaldamento globale, problema dei rifugiati, violenza nelle scuole. Ma torniamo alla domanda, perché cambiare l’orientamento sessuale di Superman? La prima risposta che viene in mente è che il mondo sia cambiato, l’omosessualità non sia più tabù e le case produttrici di film, cartoni e graphic novel vogliano stare al passo con i tempi. Anzi, in un certo senso vogliono radicalizzare e precorrere i tempi, amplificando le tendenze in atto. Basti pensare che solo fra le due case produttrici Marvel e Dc Comics (quella di Superman, Batman e Wonder Woman) si contano più di 150 supereroi Lgbt. Insomma, quella di lanciare un Superman gay o bisessuale sarebbe una scelta culturale o politico-culturale. In realtà le cose sono assai più prosaiche. La creazione di un supereroe gay risponde innanzitutto a una logica economica. Da tempo le case creatrici di supereroi, per contrastare la perdita di pubblico di quelli “universali” alla Superman, puntano sulla differenziazione dell’offerta, cercando di proporre alle varie nicchie del mercato supereroi su misura. Sono stati così ideati vari Superman cinesi e neri, mentre sono stati “sessualmente riconfigurati” classici come Batman e Robin, Batwoman e Wonder Woman. Il caso di Jon, figlio di Superman e protagonista di una storia di amore omosessuale, rientra in questa casistica. E rivela la matrice commerciale dell’operazione: la nuova serie non è piaciuta ai lettori e, di fronte al calo delle vendite, la Dc Comics (ideatrice del Superman gay) non ha esitato a interrompere le pubblicazioni. A quanto pare, il buon vecchio Marx ci aveva visto giusto: la struttura (economica) è più importante della sovrastruttura (culturale). Di Luca Ricolfi

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