Tekla si racconta: da “Male”, ai talent fino al gender gap in musica
Tekla si racconta: da “Male”, ai talent fino al gender gap in musica
Tekla si racconta: da “Male”, ai talent fino al gender gap in musica
Personalmente è difficile che le cose nascano di getto. “Male” ha avuto origine nel 2018, dopo la fine di una relazione intensa. Sono una persona che riflette molto, forse anche troppo, sia durante gli eventi, sia dopo che sono accaduti. Ruminare sulla fine di una relazione porta molta consapevolezza: mi ha riportato alle situazioni in cui, nonostante il malessere vissuto in certe relazioni, ci aggrappiamo ad esse comunque. Nella strofa, c’è una persona che si sente probabilmente vittima, convinta di aver interpretato male, pensato male o di aver nutrito speranze per qualcosa che non le apparteneva veramente. Nel ritornello, però, ci trasformiamo in carnefici, diventando noi stessi il lato oscuro che non riesce a lasciare andare ciò che ci fa soffrire, nonostante i dubbi. “Male” vuole esplorare il modo in cui spesso usciamo da una relazione incolpando l’altro, senza rendersi conto che si tratta solo di ruoli e punti di vista differenti. Pensavo di conoscerti, di comprendere chi fossi. Invece mi ritrovo accanto a uno sconosciuto, qualcuno lontano dagli ideali che avevo.
Hai scelto di promuovere questa canzone utilizzando come canale Onlyfans, come mai?L’idea del profilo Onlyfans è nata proprio con l’intento di legare la provocazione del testo a quella del contesto. “Male” voleva esser trasgressiva anche a livello d’immagine. La stessa cosa l’ho voluta fare su Instagram. Ho progettato una campagna per tendere una sottospecie di tranello, dando vita a questa ambivalenza fra schiava e padrona, che viene richiamata anche nel brano. Il ruolo della schiava è stato l’aver ricevuto una shitstorm, nel vero senso della parola, con persone che mi dicevano che non si sarebbero mai aspettati da me l’apertura di un profilo su OF. Mi hanno scritto davvero di tutto. La cosa difficile è stata non dire niente per una settimana. La parte della padrona è stata quella di rivelare che non più c’è neanche quel minimo di profondità che spinge a cercare la veridicità di quello che viene condiviso: sul mio sito internet, fin dal giorno uno, era presente la copertina del brano e chiunque poteva vedere che OF era stato aperto semplicemente per una campagna pubblicitaria, per creare polemica e far riflettere. Io ho promosso OF come piattaforma, parlando di contenuti espliciti. La cosa più esplicita che posso dare a un pubblico è la mia musica. Ho voluto fare un po di polemica, un po di caos. È stato molto difficile gestire tutto, ma è stato un bel allenamento anche per me perché non mi faccio mai scivolare nulla addosso. Invece me la ridevo sotto i baffi.
Quando scrivi metti sempre qualcosa di tuo nelle tue canzoni?Io tendenzialmente ho una scrittura molto autobiografica ed è difficile che racconti una storia che non ho vissuto, perché non saprei che parole usare e la riterrei poco autentica. Tuttavia, stimo molto chi riesce a vestire panni di qualcun altro. Se devo fare un lavoro su commissione ricerco l’autenticità della persona che devo raccontare. Di conseguenza mi risulta meno difficile parlare di un’esperienza che non ho vissuto. Per quanto riguarda il mio materiale, al tempo stesso mi diverte creare spesso un finale diverso da com’è andata. Magari la storia non si è mai realmente concretizzata, ma all’interno della mia canzone pare così, perché i sentimenti, le sensazioni che ho sentito, per me erano già concrete.
Com’è stato partecipare ad un talent e cosa ti è rimasto di quell’esperienza?
Partecipare a un talent è un pò come fare un frontale: puoi uscire illeso, sentirti estremamente fortunato oppure mettere insieme i pezzi. Avevo 19 anni, ho sempre cantato in zone limitrofe al mio paesino di provincia di Bologna. Di conseguenza è stato sicuramente d’aiuto per il focus: quando a 19 anni esci da scuola e hai in mente di fare cose e il mondo cambia continuamente, magari non è poi così semplice realizzarle. Ritrovarsi in poco tempo ad avere un’opportunità così grande è stato sicuramente, oltre che una gran botta di fortuna, una grande opportunità di consapevolezza: mi ha fatto sicuramente mettere nero su bianco la volontà di scrivere, capire che era ciò che volevo fare. Credo che mi abbia anche portato un po’ di disillusione… il talent c’entra davvero poco con la musica, poco con il processo creativo.
Cosa pensi dello stato del mondo della musica italiano, del gender gap che, dati alla mano, è tutto tranne che sconfitto?La cosa che mi frustra, a livello personale e come donna, è proprio il fatto che debbano esistere delle playlist equal. Io non ho bisogno della playlist per far sì che la musica femminile sia ascoltata quanto quella maschile. Basterebbe a livello di marketing non cercare semplicemente di vendere sempre con gli stessi contenuti, sempre con le stesse modalità. Ma penso che il sistema si stia aprendo anche grazie a internet, che però premia quasi più la provocazione, più la stravaganza, che la qualità. La donna nella musica è una minoranza. Faccio molta fatica anche solo a trovare musiciste donna, perché ce ne sono di meno, non perché siano meno brave. E sono una minoranza come un cantante di etnia differente da quella italiana caucasica. Da più di vent’anni non abbiamo nomi che spiccano in queste categorie e non perché non ci siano talenti, ma perché ci sono dei canoni. Noi vediamo la copia di Billie Eilish, la copia di Eminem: tendiamo spesso e volentieri a riprodurre delle versioni italiane di un qualcosa che ha già funzionato altrove. Ma la nostra unicità è proprio il contrario. Se pensiamo a Gianni Morandi, alla vecchia scuola, era proprio l’unicità che veniva premiata e quasi veniva copiato dall’estero, non il contrario.
di Federico ArduiniLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
-
Tag: musica, Musica italiana
Leggi anche