The Fermi Paradox, Amighetti: “Non solo spazio e scienza, ma anche l’uomo”
“The Fermi Paradox” è un progetto artistico e multidisciplinare che intreccia musica, scienza e riflessione filosofica

The Fermi Paradox, Amighetti: “Non solo spazio e scienza, ma anche l’uomo”
“The Fermi Paradox” è un progetto artistico e multidisciplinare che intreccia musica, scienza e riflessione filosofica
The Fermi Paradox, Amighetti: “Non solo spazio e scienza, ma anche l’uomo”
“The Fermi Paradox” è un progetto artistico e multidisciplinare che intreccia musica, scienza e riflessione filosofica
“The Fermi Paradox” è un progetto artistico e multidisciplinare che intreccia musica, scienza e riflessione filosofica per affrontare alcune delle più grandi domande sull’esistenza e sul nostro posto nell’universo.
Nato dal dialogo con gli astrofisici del Jet Propulsion Laboratory (JPL) di Pasadena — in particolare con Michele Vallisneri — l’album “The Fermi Paradox” è un viaggio sonoro che si muove tra l’entusiasmo per l’infinità del cosmo e una profonda meditazione sull’identità dell’essere umano.
Realizzato come un’opera collettiva, registrata in luoghi e momenti diversi, il disco vede finalmente la luce in occasione del decennale della sua ideazione. Al centro del progetto, il nucleo artistico originario era composto da David Rhodes (voce e chitarra elettrica), Giovanni Amighetti (sintetizzatori), Roger Ludvigsen (chitarre) e Paolo Vinaccia (batteria).
Nel tempo si sono aggiunti altri musicisti di rilievo internazionale, tra cui Pier Bernardi (basso), Jeff Coffin (sax), Faris Amine (chitarra e voce), Sidiki Camara (percussioni), Wu Fei (voce), Gabin Dabiré (voce), Roberto Gualdi (batteria), Valerio Combass (basso) e Moreno Conficconi (clarinetto). La produzione è firmata da Giovanni Amighetti e Stefano Riccò.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Giovanni Amighetti per conoscere meglio questo progetto
L’idea è venuta dopo aver avuto dei contatti con alcuni astrofisici del JPL, il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena — che, di fatto, è una sorta di divisione della NASA.
A quel punto abbiamo deciso di lavorare su alcune delle ricerche che ci avevano raccontato, in particolare quelle legate alle onde gravitazionali. Era lo stesso team che poi ha ricevuto il Premio Nobel. Così abbiamo pensato: “Perché non provare a mettere in musica quei dati?”.
In pratica, ci avevano fornito delle forme d’onda — non veri e propri suoni, ma rappresentazioni grafiche delle onde gravitazionali — e ci avevano chiesto di trasformarle in qualcosa di ascoltabile. È stato un esperimento affascinante.
Siamo stati in studio quattro o cinque giorni, lavorando direttamente sul momento. Non avevamo partiture o idee prefissate: la musica è nata lì, improvvisando, ascoltandoci, cercando di dare voce a qualcosa di invisibile ma reale.
Un lavoro di sinergie tra uno zoccolo duro e diversi musicisti che si sono avvicendati alle registrazioni nel corso del tempo
Ci siamo trovati in studio io, David, Roger e Paolo. Poi, negli anni, si sono aggiunti altri musicisti. Ad esempio Jeff Coffin, con cui abbiamo registrato alcune parti a Nashville: lui si è occupato dei fiati, in particolare del sassofono. Poi c’era anche Wu Fei e diversi altri artisti che si sono uniti nel tempo.
Sono tutti musicisti con cui collaboriamo spesso anche in altri progetti, quindi tra una cosa e l’altra abbiamo portato avanti anche questo. The Fermi Paradox è sempre rimasto un po’ in background: ogni tanto facevamo qualche live, delle sonorizzazioni in collaborazione con gli astrofisici, ma non l’avevamo mai pubblicato ufficialmente.
Poi, a settembre scorso, io e David ci siamo rivisti in occasione di uno spettacolo in Romagna. E lì ci siamo detti: “Sai che c’è? Questo paradosso lo capiamo ancora di più oggi. Facciamolo uscire.”
Era praticamente pronto, e così finalmente l’abbiamo pubblicato.
Com’è stato mettere le mani in pasta su concetti tanto complessi?
Sicuramente è stato un lavoro stimolante, ma anche piuttosto impegnativo. Ci tenevamo molto a non sembrare dei musicisti che si improvvisano filosofi o scienziati, sai, quelli che si mettono a fare i grandi vati di chissà cosa. Proprio per questo, quando abbiamo iniziato a scrivere i testi, volevamo che fossero il più possibile aderenti alla realtà scientifica.
Abbiamo fatto in modo che fossero letti e verificati dagli astrofisici con cui stavamo collaborando. Per noi era fondamentale che i concetti espressi nell’album riflettessero davvero lo stato attuale della ricerca scientifica.
E per rendere tutto questo musica?
Dalle idee che ci ha fornito il JPL abbiamo costruito una sorta di percorso, un viaggio, che si è poi tradotto nell’album. L’album è composto da nove brani, che durante i live estendiamo fino a quattordici. In questo percorso abbiamo inserito musiche che, secondo noi, riuscivano a restituire — anche in modo intuitivo — le sensazioni e le riflessioni nate da questi spunti scientifici.
Siamo partiti in modo molto diretto dal suono, dalle forme d’onda delle onde gravitazionali che ci erano state fornite. Quelle forme non erano suoni veri e propri, ma dati che noi abbiamo interpretato musicalmente. Accanto a questo materiale, abbiamo creato altre composizioni basate invece sulla nostra percezione emotiva e concettuale dei temi trattati.
Una delle domande di fondo, ad esempio, è: a che punto siamo, come umanità, nella nostra corsa verso le stelle? Siamo davvero in grado di affrontare un viaggio interstellare? Spoiler: non proprio. In realtà, è qualcosa di incredibilmente complesso, al momento ancora fuori dalla nostra portata.
Da qui prende senso anche il titolo “The Fermi Paradox“: com’è possibile che, in un universo così vasto, non abbiamo ancora avuto contatti con civiltà aliene? Le probabilità che ci sia vita altrove sono alte, eppure non c’è traccia di essa.
Il progetto, quindi, non parla solo di spazio e scienza, ma anche dell’uomo e del suo ruolo nell’universo. Qual è il nostro posto? Che impatto abbiamo sul nostro pianeta e su ciò che ci circonda? Le distanze cosmiche e le dimensioni con cui abbiamo a che fare sono immense, quasi inconcepibili rispetto a noi. E proprio in questo contrasto nasce lo stupore, ma anche il senso del limite, che il progetto vuole raccontare.
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- Tag: musica, Musica italiana
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