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Pulp Fiction e Caro Diario

Trent’anni e non sentirli 

Trent’anni fa “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino e “Caro Diario” di Nanni Moretti si sfidavano per la Palma d’oro al Festival di Cannes. Così diversi eppure così vicini 

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Trent’anni e non sentirli 

Trent’anni fa “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino e “Caro Diario” di Nanni Moretti si sfidavano per la Palma d’oro al Festival di Cannes. Così diversi eppure così vicini 

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Trent’anni e non sentirli 

Trent’anni fa “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino e “Caro Diario” di Nanni Moretti si sfidavano per la Palma d’oro al Festival di Cannes. Così diversi eppure così vicini 

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Trent’anni fa “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino e “Caro Diario” di Nanni Moretti si sfidavano per la Palma d’oro al Festival di Cannes. Così diversi eppure così vicini 

Giusto trent’anni fa “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino e “Caro Diario” di Nanni Moretti si sfidavano per la Palma d’oro in un Festival di Cannes ricco di titoli di altissimo livello. Ma il cinema per natura non è competizione, che lo svilirebbe. E così lo spettatore può godersi ancora questi due capolavori e trattarli come fossero dei figli: impossibile dire quale si ama di più. Ma a tre decenni di distanza si può certamente dire che “Pulp Fiction” e “Caro Diario” hanno ridisegnato il nostro immaginario collettivo.

Sono due pellicole che non possono essere paragonate né tra loro né con altri lavori degli stessi autori. E hanno una vitalità creativa che le rendono fari della cinematografia mondiale. Siamo nell’era del Metaverso e – tra scene iconiche, dialoghi surreali e personaggi straordinari – nelle nostre menti è come se vivessero di vita propria, fuori dallo schermo. Possono quindi interagire. Dal punto di vista narrativo hanno in comune una ripartizione in più storie, mentre da quello artistico i registi Tarantino e Moretti hanno una sottile ironia, un distacco dalla realtà, senza autocompiacimento. Se ci sono frasi ridondanti, sono un dileggio di quelle tipologie a cui ‘per categoria’ appartengono e che, con un ironico balzo in avanti, le fanno sembrare da quel momento in poi ‘vecchie’.

Inesorabili, come un figlio col padre. Così Butch (impersonato da Bruce Willis) precisa alla fidanzata che quella che sta guidando non è semplicemente una moto, ma il chopper di Zed: «Zed è morto, piccola. Zed è morto». E Nanni Moretti, in una Roma d’agosto vuota e sospesa, gira sulla sua Vespa verde petrolio (che sullo schermo sembra blu per il filtro della cinepresa) per arrivare fino a Spinaceto (estrema periferia della Capitale), dire «Pensavo peggio» e tornarsene indietro. Mentre in un diner Mia (Uma Thurman) e Vincent (John Travolta) gareggiano sulla pista da ballo al ritmo di “You Never Can Tell” di Chuck Berry, il sogno di Nanni Moretti è proprio quello di saper ballare: folgorato dal film “Flashdance” che gli ha cambiato la vita, si lamenta dicendo di sé che alla fine è uno di quelli che rimangono a guardare. E, ritrovandosi in una piazza ancora con il casco in testa, molesta due sconosciuti confidando loro il suo sogno, tra la gente che danza una bachata: «Come li invidio!».

A cambiare la vita davvero è forse il terzo episodio di “Caro Diario”, in cui Moretti racconta della sua malattia. Quando in “Pulp Fiction” Jules (Samuel L. Jackson) e Vincent parlano di un tizio che ha fatto un massaggio ai piedi alla moglie del boss ed è stato ucciso, a Moretti per una vera minaccia quei massaggi vengono prescritti. Così si ritrova tra agopunture, impacchi di cavolo e bagni con la crusca. E a bere un bicchiere d’acqua appena sveglio. In quanti l’avranno fatto dopo aver visto il film?

Fra intellettuali folgorati da soap opera, sicari con magliette da secchioni universitari, metri per misurare la vita e versetti biblici inventati, le due pellicole sono un folle e armonico viaggio artistico che almeno una volta nella vita bisogna fare. «Anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone» dice Nanni Moretti. Per questo a chi vada la Palma d’oro non ha importanza: chi vota e vince è per forza una maggioranza.

Di Edoardo Iacolucci

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