Un successo da far paura, parla Pier Maria Bocchi
Tra cinema e piattaforme streaming, il genere horror sta vivendo una nuova, brillante giovinezza

Un successo da far paura, parla Pier Maria Bocchi
Tra cinema e piattaforme streaming, il genere horror sta vivendo una nuova, brillante giovinezza
Un successo da far paura, parla Pier Maria Bocchi
Tra cinema e piattaforme streaming, il genere horror sta vivendo una nuova, brillante giovinezza
Uno specchio in cui cerchiamo noi stessi, le nostre paure e le angosce della società in cui viviamo. Tra cinema e piattaforme streaming, il genere horror sta vivendo una nuova, brillante giovinezza. Trascinato dal recente successo al botteghino dell’algido ed elegante “Nosferatu” (rivisto da Robert Eggers), non smette di piacere e di fare da cassa di risonanza alle nostre paure. In un’epoca di incertezza – tra conflitti militari che agitano dubbi e coscienze, crisi climatica e instabilità politica – il successo dei film dell’orrore è probabilmente legato alla loro capacità di trasformare l’angoscia diffusa in un linguaggio simbolico, aiutandoci a elaborare paure che altrimenti sarebbero troppo complesse da affrontare a viso aperto. «L’horror in realtà non se n’era mai andato» spiega Pier Maria Bocchi, docente di Storia e critica del cinema per OffiCine dell’Istituto Europeo di Design. «È sopravvissuto alle evoluzioni dei gusti, dei consumi e delle tecnologie, mentre altri generi non ce l’hanno fatta».
Negli anni Settanta film come “L’alba dei morti viventi” e “Non aprite quella porta” riflettevano le tensioni della guerra in Vietnam e il disincanto post Watergate. Più di recente, pellicole come “Get Out” e “The Babadook” hanno affrontato temi come il razzismo e la salute mentale. I film horror sono passati dall’incarnare una sorta di metafora politica alla proposta di un’indagine più intima e sociale. «L’horror ha saputo adattarsi ed evolversi. Cinquant’anni fa si caratterizzava per esempio per il classico ‘mostro’ fuori da noi, con la nascita di icone come Freddy Krueger e altre mutuate dai classici della letteratura. Oggi potremmo dire che quel mostro siamo noi: è il nostro io che si sbriciola e ci porta a cercare risposte» osserva Bocchi. «In questo senso l’horror aiuta a elaborare sentimenti di confusione e angoscia». E se di streghe, mostri e zombie si può a volte anche fare a meno, spesso sono gli spazi – bui e claustrofobici, come nei grandi classici oppure aperti e illuminati da una bianchezza innaturale, come nei più recenti “Midsommar” e “Nope” – a fare da elemento trainante per scatenare ansie e paure: «Un tempo c’erano vecchi castelli e anfratti, oggi i racconti concepiti per provocare paura nello spettatore si svolgono in spazi giganteschi e impersonali, altrettanto spaventosi per l’ampiezza e il loro essere anonimi. Un elemento che spiega bene come questo tipo di opere guardi alla contemporaneità».
Alla seconda giovinezza del genere sta inoltre contribuendo l’influenza crescente delle piattaforme di streaming: i film sembrano adattarsi sempre più a un pubblico di binge watcher (gli amanti delle ‘maratone’) con ritmi e cliffhanger (gli espedienti narrativi che inducono lo spettatore ad andare avanti nella visione) tipici delle serie tv, riuscendo anche in questo caso a rispondere alle nuove sfide. «Stiamo parlando di un genere eterno, capace di rinascere anche quando sembra spegnersi. Oggi, grazie allo streaming, l’horror ha saputo conquistare i gusti dei più giovani perché capace, in ogni epoca e in ogni cultura, non soltanto di intercettare istanze politiche e sociali ma anche di farle vivere in maniera sempre nuova».
Di Valentina Monarco
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