La voce rugosa di Van Morrison
La voce rugosa di Van Morrison
La voce rugosa di Van Morrison
“Moving On Skiffle” è il quarantaquattresimo album in studio di Van Morrison ed è stato pubblicato il 10 marzo scorso da Exile Productions. Ça va sans dire, il cantautore nordirlandese classe 1945 è estremamente prolifico: se consideriamo che il primo Cd – “Blowin’ Your Mind” – risale al 1967, la media è di circa un disco ogni quattordici mesi. Nella musica di Morrison, fenomenale polistrumentista, c’è tutto: la tradizione gaelica e il rock and roll, il white blues e il soul, la psichedelia e il jazz, il boogie e il ragtime, il misticismo più audace e la ricerca del Sacro Graal (vedi “Into the Mystic” e “You Don’t Pull No Punches, But You Don’t Push the River”), la poesia britannica e il gospel.
In questo ultimo lavoro “Sir Van” torna alle origini, ai primi anni Sessanta: lo skiffle è infatti quella particolare frangia del folk che si ibrida con il country e il bluegrass e viene eseguita in una miscela di strumenti fabbricati e fatti in casa o improvvisati. In “Moving On Skiffle”, costituito da ventitré brani, figurano pezzi di Elizabeth Cotten (“Freight Train”), Woody Guthrie (“Gypsy Davie”), Hank Williams (“I’m So Lonesome I Could Cry”), Lead Belly (“Cotton Fields”), oltre ad alcune canzoni di repertorio come la leggendaria “Take This Hammer” e la spirituale “This Loving Light of Mine”. Si tratta, insomma, di un’opera sudata e gioiosa sul modello delle “Seeger Sessions” di Bruce Springsteen (2006).
Ciò che emerge in particolar modo da “Moving On Skiffle” – assieme alle tintinnanti sonorità di brocche, pentole e tubi metallici – è la vibrante voce scura di Morrison che dà sempre l’impressione di esser vagamente raffreddata, che sgorga di puro entusiasmo ed è perfettamente a suo agio nelle call dei cori, nella polvere dei campi di cotone, tra le strade bagnate di provincia. Come suggerisce l’immagine di copertina del disco, Morrison sembra incessantemente nascosto dal cappello con fascia azzurra e dagli occhiali da sole, quasi siano una protezione esistenziale: così accade anche nel video della scattante “Days Like This” (dall’omonimo album del 1995), in cui il cantautore originario di Belfast, con il suo solito fraseggio roco e sfrangiato, suona il sassofono: «Quando non c’è nessuno di fretta, ci saranno giorni così. / Quando non sei tradito da quel vecchio bacio di Giuda / oh, mia mamma mi ha detto che ci saranno giorni così».
Ma Morrison, nella sua lunga carriera, racconta persino la felicità domestica con toni soffusi, di struggente lirismo. Le trasparenti cadenze di “Tupelo Honey” (1971) sono senz’altro fra i punti più alti del suo percorso artistico: «Puoi prendere tutto il tè che si trova in Cina / e metterlo in una grande borsa marrone per me, / navigare lungo i sette oceani, / lasciarlo cadere nelle profondità del mare blu. / Lei è dolce come il miele di Tupelo, / è un angelo di primo grado. / Lei è dolce come il miele di Tupelo, / proprio come il miele delle api».
di Alberto Fraccacreta
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