Venezia: si viaggia, si sogna, si cita il passato
Festival del cinema di Venezia: si viaggia, si sogna, si cita il passato. Da madame Huppert ed Élise Girard, passando per Yorgos Lanthimos, fino a Saverio Costanzo
Venezia: si viaggia, si sogna, si cita il passato
Festival del cinema di Venezia: si viaggia, si sogna, si cita il passato. Da madame Huppert ed Élise Girard, passando per Yorgos Lanthimos, fino a Saverio Costanzo
Venezia: si viaggia, si sogna, si cita il passato
Festival del cinema di Venezia: si viaggia, si sogna, si cita il passato. Da madame Huppert ed Élise Girard, passando per Yorgos Lanthimos, fino a Saverio Costanzo
AUTORE: Federico Fumagalli
All’incontro con il pubblico si presenta in abito lungo fucsia, che forse non le dona. Ma madame Huppert, comunque, sposta l’aria. E sposta le sorti di qualunque film interpreti. È il caso anche di «Sidonie au Japan» della francese Élise Girard. Presentato in concorso alle Giornate degli Autori, sarà distribuito in sala da Academy Two. Facile capire di chi sia il principale merito dell’acquisizione del film per il mercato italiano.
Doppia Coppa Volpi come migliore attrice – tante volte alla Mostra – Huppert debutta alle Giornate. La sezione del Festival autonoma e parallela alla Selezione Ufficiale, che fa sempre un gran lavoro di selezione.
Sidonie, scrittrice parigina in crisi non solo creativa, arriva in Giappone per un breve viaggio di lavoro. Si imbatte in un amore locale, nel fantasma del marito morto che fa la doccia in hotel, in una vita nuova.
«Questo viaggio porta il mio personaggio dal passato al presente, per poi abbracciare il futuro – spiega Huppert – E unisce il classicismo del Giappone con la sua modernità, in un percorso sia estetico sia mentale».
«Sidonie au Japan» ha meriti, per stile e contenuto. Ma vent’anni dopo «Lost in Translation» di Sofia Coppola (che proprio qui alla Mostra rivelò il talento di Scarlett Johansson), pare difficile pensare che il punto d’incontro tra occidentali e giapponesi passi sempre dalle solite difficoltà nella condivisione e nel prendere sonno causa Jet lag. Anche se Huppert, carica della ammaliante sobrietà che l’ha resa “Marianna” francese del cinema, rischia di convincere del contrario: «La bellezza di questo film è, appunto, la sua capacità di connettersi al silenzio. Una caratteristica tipica del Giappone».
Intanto, la gara per il Leone d’oro avanza. E «Poor Things (Povere Creature)» di Yorgos Lanthimos è sin qui il suo gioiello. L’opera con cui il regista greco, soffiato dalla ricca Hollywood delle majors (produce il gruppo Disney) al campionato cinematografico europeo, prosegue dopo «La favorita» il suo percorso verso un cinema più vicino ai gusti del grande pubblico, ma senza perdere la cifra autoriale.
Dal romanzo omonimo di Alasdair Gray, il viaggio formidabile e fantastico di una giovane donna creata in laboratorio – fenomenale Emma Stone che si candida alla Coppa Volpi, già vinta per «La La Land» – alla ricerca di sé stessa e di un modo per salvare il mondo, dalle sue brutture.
Per l’intelligenza con cui tratta il tema dell’emancipazione femminile è l’anti «Barbie» che aspettavano, tutti quelli che non hanno amato «Barbie». La controproposta è arrivata in fretta. Al cinema in inverno. Pronto per la corsa agli Oscar, proprio insieme a «Barbie».
Saverio Costanzo torna al cinema dopo la fortunata esperienza nella serialità Rai («L’amica geniale»). Dedica «Finalmente l’alba» a papà Maurizio. Ma anche alla compagna Alba Rohrwacher, cui regala l’incipit in bianco e nero del film nel film. E, naturalmente, a Cinecittà.
La giovane Mimosa (brava Rebecca Antonaci), a Roma degli anni Cinquanta vive una giornata memorabile e intensa, fra i protagonisti della Hollywood sul Tevere.
È un’opera modernissima, perché molto antica. Un viaggio nel dopoguerra italiano in celluloide, zeppo di sogni e meschinità. Corre tanti rischi. Compreso l’azzardo di strizzare l’occhio a Fellini («Lo sceicco bianco», «La dolce vita»). Ma senza profanare il maestro. Merito di una solida integrità, che Costanzo non abbandona mai fino – peccato – a un finale onirico che macchia la tovaglia immacolata. Distribuito da Rai Cinema, «Finalmente l’alba» esce a Natale.
di Federico Fumagalli
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