Ahanor, l’azzurro non italiano
Honest Ahanor, professione difensore con idolo Paolo Maldini, è nato in Italia, ma non è italiano. Ancora una volta lo sport, si fa carico di una questione sociale, di un dibattito che riguarda tutta la società
Ahanor, l’azzurro non italiano
Honest Ahanor, professione difensore con idolo Paolo Maldini, è nato in Italia, ma non è italiano. Ancora una volta lo sport, si fa carico di una questione sociale, di un dibattito che riguarda tutta la società
Ahanor, l’azzurro non italiano
Honest Ahanor, professione difensore con idolo Paolo Maldini, è nato in Italia, ma non è italiano. Ancora una volta lo sport, si fa carico di una questione sociale, di un dibattito che riguarda tutta la società
Ha quasi 18 anni, è stato pagato 20 milioni di euro dall’Atalanta al Genoa e il ct dell’Italia, Gennaro Gattuso lo vorrebbe in nazionale, l’ha fatto visionare, perché il talento è sotto gli occhi di tutti e già da tempo. Ma per ora non si può vederlo cantare l’inno nazionale.
Honest Ahanor, professione difensore con idolo Paolo Maldini, è nato in Italia, ma non è italiano. La storia può essere immaginata, a questo punto, ma meglio tratteggiarla: è nato ad Aversa (Caserta) da genitori nigeriani, quando aveva un anno Ahanor si è trasferito a Genova insieme alla madre, dove è stato accolto in un’abbazia adibita a centro di accoglienza per persone in attesa di collocazione abitativa. Poi c’è stata la crescita, la scuola, il calcio. Ahanor potrà chiedere la cittadinanza solo a 18 anni compiuti, dopo aver sostenuto una trafila lunga e spesso arbitraria.
Dunque, un ragazzo che si forma in Italia, che va a scuola in Italia, si allena nelle strutture italiane ma che non è italiano. La Nigeria, che è il paese di origine dei genitori del calciatore, ha manifestato in più di un’occasione la volontà di convocarlo in nazionale. Lui invece vuole l’Italia. Ma non può averla. Ovviamente non è solo una questione calcistica. Anzi, è un’immagine potente dell’Italia, che è ancora assai distante dall’adozione dello ius soli sportivo, con affetto privato e distanza pubblico, una formula che avrebbe permesso ai minorenni nati o cresciuti in Italia di essere tesserati come italiani nelle competizioni giovanili.
Almeno l’esercizio del buon senso, in attesa di una rivoluzione culturale che stenta a partire. Ma con il caso Ahanor torna prepotentemente al proscenio anche la questione dello ius culturae, che una parte della maggioranza di governo (Forza Italia) ha perorato per qualche tempo. Quindi, ancora una volta lo sport, si fa carico di una questione sociale, di un dibattito che riguarda tutta la società. Ed ecco il paradosso: quando un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri diventa un talento, allora diventa essenziale il tema della sua cittadinanza. Si chiama riconoscimento condizionato. Ed è triste, oltre ad essere ingiusto e indegno per un paese civile.
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