Carlitos d’Inghilterra
La distanza fra lo spettacolo messo in scena a Wimbledon tra Alcaraz e Djokovic e l’avanspettacolo offerto dal nostro calcio è semplicemente imbarazzante
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La distanza fra lo spettacolo messo in scena a Wimbledon tra Alcaraz e Djokovic e l’avanspettacolo offerto dal nostro calcio è semplicemente imbarazzante
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Carlitos d’Inghilterra
La distanza fra lo spettacolo messo in scena a Wimbledon tra Alcaraz e Djokovic e l’avanspettacolo offerto dal nostro calcio è semplicemente imbarazzante
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La distanza fra lo spettacolo messo in scena a Wimbledon tra Alcaraz e Djokovic e l’avanspettacolo offerto dal nostro calcio è semplicemente imbarazzante
Un abisso. La distanza fra lo spettacolo messo in scena sul centrale di Wimbledon dal numero uno al mondo Carlitos Alcaraz e il monumento Nole Djokovic e l’avanspettacolo offerto dal nostro calcio è semplicemente imbarazzante. Il tutto rispetto al nulla.
Un campione che ha fatto la storia, costretto a cedere il passo – sul palcoscenico più importante del globo – a un fenomeno del 2003. Ripetiamolo: 2003. Una partita che è stata un romanzo, forse un passaggio di consegne, di sicuro una cesura fra l’era dei Big Three e una nuova, appena accennata. Annunciata, se preferite, da questo fenomenale ragazzo spagnolo. Così diverso dalla genia degli spilungoni lanciamissili che sembravano doversi impadronire del tennis.
Lontano e pur in qualche modo vicino al fantasma di Rafa Nadal che inevitabilmente aleggiava ieri sul centrale di Wimbledon, nella tesissima e sia pur non sempre splendida finale contro Nole Djokovic. Personaggi straordinari, personalità che bucano lo schermo e la cronaca sportiva, mentre le nostre povere cronache nostrane vengono dominate da Romelu Lukaku.
Contrasto stridente e improponibile. Lo sport ai suoi massimi livelli quanto a coinvolgimento emotivo e psicologico, lo spettacolo puro e le baracconate senza futuro del nostro povero pallone.
Un mondo ripiegato su se stesso, dove si preferisce il mancato campione sul viale del tramonto al giovane ancora da costruire. In cui si modellano feticci sul nulla e si conferiscono patenti di mago a chi appena 12 mesi fa era totalmente ignorato, mentre realizzava il capolavoro di una vita con un paio di ragazzi sconosciuti e troppo poco pagati per essere notati dai “maghi” del mercato.
Oggi, quello stesso ottimo professionista viene narrato come un fenomeno e vale più di Zidane, ieri manco sapevano che fosse: questo è il nostro calcio.
Quando riuscirà a riproporre un personaggio in grado almeno di portare la borsa ad Alcaraz o Djokovic, tornate da noi. Per ora ci rifiutiamo di accodarci alla stessa categoria che si è accorta in molti casi (anche giornali che hanno la dicitura “sport” nella testata!) della finale di Wimbledon solo al quinto set, tutti presi a decantare le presunte lodi o miserie di Max Allegri. Roba seria, roba da far tremare i polsi… peccato che la storia si stesse facendo altrove. Cultura sportiva cercasi.
di Fulvio Giuliani
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