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Messi, Maradona e il peso del destino

A Messi manca sempre qualcosa con la maglia dell’Argentina: quel lampo negli occhi, quella fierezza quasi eccessiva. Per volere del destino, il ricordo di Maradona si officia a poche ore dalla partita con il Messico. Partita già decisiva per l’Albiceleste e per il Bandolero, giunto al suo ultimo mondiale
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Messi, Maradona e il peso del destino

A Messi manca sempre qualcosa con la maglia dell’Argentina: quel lampo negli occhi, quella fierezza quasi eccessiva. Per volere del destino, il ricordo di Maradona si officia a poche ore dalla partita con il Messico. Partita già decisiva per l’Albiceleste e per il Bandolero, giunto al suo ultimo mondiale
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Messi, Maradona e il peso del destino

A Messi manca sempre qualcosa con la maglia dell’Argentina: quel lampo negli occhi, quella fierezza quasi eccessiva. Per volere del destino, il ricordo di Maradona si officia a poche ore dalla partita con il Messico. Partita già decisiva per l’Albiceleste e per il Bandolero, giunto al suo ultimo mondiale
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A Messi manca sempre qualcosa con la maglia dell’Argentina: quel lampo negli occhi, quella fierezza quasi eccessiva. Per volere del destino, il ricordo di Maradona si officia a poche ore dalla partita con il Messico. Partita già decisiva per l’Albiceleste e per il Bandolero, giunto al suo ultimo mondiale
A Leo serve una pausa di un paio di ore dal destino. Sono 15 anni che è il dio del futbol. Altro che Cristiano. Oltre i numeri, i gol, quei tocchi impossibili per gli altri umani. A 35 anni si ritrova, con una caviglia a pezzi e nella fase discendente della carriera, con una partita da dentro-fuori con la maglia dell’Argentina. Per l’ennesima volta. È un destino, appunto, che passa domani attraverso 100-110 minuti con la Tricolor. Se l’Argentina non vince, o peggio ancora perde con i messicani, è praticamente fuori dai Mondiali. Gli ultimi Mondiali di Leo. Una condanna senza appello. Il pubblico ludibrio in Argentina, dove da due giorni si discute solo della prestazione con l’Arabia Saudita dell’ex numero dieci del Barcellona. Dove si scrive di “Golpe”. Dove si sentono ancora invincibili, anche se non vincono da 36 anni (in Messico..) e non hanno fatto il bis a Italia ’90 perché intorno a Diego tirava brutta aria. La partita decisiva degli argentini con il Messico coincide o quasi con l’anniversario della morte di Diego Maradona. Due anni, oggi. Una morte a cui non crede ancora nessuno. Perché, Diego davvero è morto? Qualcuno è sceso a patti con la sua scomparsa? Mentre Messi ripulisce i suoi scarpini e prova a non chiedersi perché con l’Argentina non gira mai bene o quasi, accende la tv, scrolla la timeline sui social e verifica che El Diez è ancora tra noi. Che c’è una processione, laica e forse anche coinvolge anche qualcos’altro, un filo che unisce Napoli e Buenos Aires. Tutti in fila. Luci, striscioni, lacrime. Messi soprattutto sa della consapevolezza di un popolo intero – e forse anche dei suoi attuali compagni di nazionale – che se ci fosse stato Maradona domani contro il Messico, l’Argentina avrebbe avuto un totem a dirigerla verso la meta. El Diez a petto in fuori, quell’eterno sguardo con il mento sollevato, che avrebbe spiegato, con un palleggio prolungato tra spalla e capo, che per passarla liscia bisognava passare attraverso lui. Quella sensazione di impotenza provata dai tifosi dello Stoccarda, dinanzi a quella serie di palleggi impossibili di Diego con la maglia del Napoli, prima della finale di ritorno di Coppa Uefa, anno 1989. Come lo batti uno così? Cuore e talento, garra e magia. E la lingua abrasiva, in campo e fuori. Cosa avrebbe detto Maradona della censura di Infantino e della Fifa? Come Harry Kane, avrebbe cambiato idea su quella fascia One Love per un misero cartellino giallo? Paura di una multa? Non scherziamo. Alla Pulce spesso questo passo è mancato. Anche in termini di leadership fuori dal campo. Mai ha fatto sentire la sua voce sui temi che contano. Così è andata anche stavolta. È apparso con Cristiano Ronaldo in quella foto assai mediatica con la griffe Louis Vuitton. Milioni di clic su quella foto. A Messi manca sempre un pezzo, con la Seleccion. Anche se lo scorso anno ha vinto quasi da solo la Coppa America. Anche se la Coppa del Mondo 2014 è sfuggita solo perché Gonzalo Higuain sparò a salve davanti a Manuel Neuer, due volte. Gli assist, due gemme, erano arrivati dal sinistro di Messi. Come Maradona lanciò Burruchaga verso la porta per il gol decisivo nella Coppa del Mondo del 1986. Gli avversari? I tedeschi, ovviamente. Sarebbe cambiato qualcosa nella narrazione, non tutto. Quella narrazione che per Messi è stata tossica. Anzi, è probabile che Messi sia sincero quando racconta, l’ultima volta lo scorso anno, che mai si è paragonato a Maradona. Che lui è stato ed è solo il calcio, il calcio al suo meglio. L’altro è stato un pezzo di letteratura, di mistica, di epica. Manca quel lampo negli occhi, quella fierezza quasi eccessiva, che ti smontava, sbriciolava le certezze altrui. Maradona è nato Maradona, come Alì è nato Alì. Nessuno può farci nulla. Non è una maledizione sulla testa della Pulce. Solo che, per volere del destino e di quel famoso timing, il ricordo di Diego si officia a poche ore dalla partita con il Messico. Il Messico, che diventa subito 1986, quando Diego è stato l’Assoluto. E tutto pesa. Tutto torna, forse. Certo, Messi potrebbe scrivere un’altra pagina. Portare l’Argentina in salvo con il Messico. Dominare gli avversari con un tocco, un velo. Essere Maradona per un giorno, o per qualche ora. Con il permesso del destino. Ci riuscirà? Di Nicola Sellitti

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