“Ciao Marcelo, provo a realizzare una cosa impossibile nell’era della comunicazione moderna tra giornalisti e calciatori: io faccio una domanda, tu rispondi senza dover chiedere il permesso a nessuno”.
Biasin ha iniziato così il direct message con cui ha chiesto al centrocampista croato se la sua intenzione fosse quella di restare in nerazzurro. “Ciao grandeeee”, seguito da un “sì” con tanto di emoji è stata la risposta di Brozovic.
Una corrispondenza tanto spontanea da fare rumore. Sì, perché i tempi in cui giornalisti e calciatori si sentivano accomunati dalla grande passione per il calcio, ritenendo indispensabile l’uno il lavoro dell’altro, sembrano lontani anni luce. Basti pensare al mitico Giampiero Galeazzi che, entrando nello spogliatoio della Lazio per testimoniare lo scudetto del 2000, diventava parte della festa, travolto dall’entusiasmo dei calciatori.
Loro sapevano bene, così come il pubblico a casa, che “Il bisteccone” fosse un grande tifoso della squadra biancoceleste e la festa è stata solo una conseguenza spontanea. Da una parte chi il calcio lo scrive con i piedi (espressione che, per una volta, ha un’accezione positiva), dall’altra chi il calcio lo racconta con la voce, la penna, la professionalità e la passione.
Sicuramente l’avvento dei social ha annullato le distanze tra tifosi e calciatori: “Non esiste più la vecchia funzione di racconto del giornalista che fa sentire, assaporare, tutto ciò che il tifoso non avrebbe potuto vedere”, come ha spiegato anni fa l’ex direttore di Sky Sport Massimo Corcione.
Oggi i tifosi non si aspettano niente di speciale dalle interviste dei protagonisti, anzi sono abituati al totale appiattimento delle dichiarazioni. E la diffusione dei social non basta a spiegare la differenza tra la passione di allora e la standardizzazione di oggi. Anzi, il mondo del giornalismo sportivo ha grandi responsabilità nel deterioramento della fiducia tra le parti, avendo creato un prototipo di “click baiting” ancor prima che arrivassero i demonizzati social media.
L’esempio palese sono i titoli sensazionalistici scritti per vendere qualche copia in più, travisando e facendo travisare al pubblico le dichiarazioni degli atleti. Per cui un “mi piacerebbe diventare capitano di questa squadra”, diventava un “diventerò capitano”, un “è un pronostico molto difficile, forse vincerà la Roma”, diventava un “Sono sicuro: vincerà la Roma”, eccetera. Così si danneggiano due parti fondamentali del sistema calcio: da una parte i club e i calciatori, che entrano in un vortice per dichiarazioni mai fatte, dall’altra i tifosi che cascano nel tranello della falsa notizia.
Da alcuni anni i club, e di rimando chiunque ci lavori, piuttosto che rischiare di trovarsi al centro di un polverone, danno ai giornalisti la solita minestra riscaldata. E chi ci rimette sono ancora una volta i tifosi, privati di quel rapporto caldo e passionale che li teneva attaccati alla TV anche dopo i 90 minuti.
Per questo, i messaggi tra Fabrizio Biasin, dichiaratamente tifoso nerazzurro, e Brozovic, sono un esempio di umanità che fa sorridere ogni tifoso, a prescindere dai colori.
di Giovanni Palmisano
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