Centravanti Mecca
Il rapporto tra Corano e pallone è piuttosto complesso ma vale la pena indagarlo. Proprio com’è stato fatto da Rocco Bellantone nel suo ultimo libro “Il centravanti e la Mecca” (Paesi edizioni).
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Il rapporto tra Corano e pallone è piuttosto complesso ma vale la pena indagarlo. Proprio com’è stato fatto da Rocco Bellantone nel suo ultimo libro “Il centravanti e la Mecca” (Paesi edizioni).
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Il rapporto tra Corano e pallone è piuttosto complesso ma vale la pena indagarlo. Proprio com’è stato fatto da Rocco Bellantone nel suo ultimo libro “Il centravanti e la Mecca” (Paesi edizioni).
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Il rapporto tra Corano e pallone è piuttosto complesso ma vale la pena indagarlo. Proprio com’è stato fatto da Rocco Bellantone nel suo ultimo libro “Il centravanti e la Mecca” (Paesi edizioni).
«Osama / oh oh / Osama / oh oh oh oh / he’s hiding near Kabul / He loves the Arsenal». Sull’aria di “Volare” di Domenico Modugno, la canzoncina fu intonata dai tifosi dell’Arsenal dopo l’11 settembre 2001, quando assieme agli altri particolari biografici qualche giornale raccontò di come il capo di Al-Qaida fosse un tifoso sfegatato della loro squadra: nel 1994 era andato per quattro volte a vederla durante un suo soggiorno di tre mesi a Londra e prima di partire non aveva mancato di fare incetta di merchandising per i suoi figli al negozio di souvenir dell’Arsenal. In uno dei suoi periodici messaggi su cassetta Bin Laden raccontò in effetti di un sogno in cui giocava a calcio contro gli americani e all’improvviso i suoi compagni di squadra si trasformavano in piloti.
Recep Tayyip Erdoğan, invece, a calcio ci ha giocato proprio come capitano dello Iett, squadra dell’azienda trasporti di Istanbul. Da uomo di Stato ha poi sponsorizzato lo Istanbul Başakşehir: una nuova squadra creata nel 2014 e su cui ha fatto confluire appoggi per un’operazione simpatia a favore del suo partito, anche se sembra che abbia più che altro attratto le antipatie dei tifosi delle altre tre grandi squadre storiche di Istanbul. Dal canto loro, il capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh e il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah vedono con favore il gioco del calcio perché «il Profeta consigliava l’esercizio fisico per mantenere il corpo sano». Hezbollah ha perfino una sua squadra, sia pure soltanto in modo ufficioso: l’Al-Ahed.
Negli ultimi anni diverse monarchie tradizionaliste islamiche ricche di petroldollari si sono messe a comprare squadre di calcio a tutto spiano, usandole come strumento di soft power e anche per sostenere la diffusione dell’Islam in Occidente. In particolare, un principe di Abu Dhabi ha acquistato il Manchester City e altre 11 squadre in tutto il mondo (fra queste il Palermo), la Qatar Investment Authority ha rilevato il Paris Saint Germain, un membro della famiglia reale del Qatar il Malaga, il fondo sovrano del Bahrein il Paris Fc, il fondo di investimento saudita il Newcastle. Il Qatar ha inoltre speso soldi in quantità per farsi assegnare il Mondiale appena iniziato, il primo ospitato da un Paese islamico.
Quando dopo essere stato un calciatore ha fondato l’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi ha invece deciso di vietare il gioco del calcio nei territori occupati dalla sua organizzazione terroristica. Anche Boko Haram, Al Shabaab e Taleban hanno fatto guerra al pallone, salvo poi in alcuni casi provare a inventare un calcio haram, ad esempio imponendo ai giocatori la copertura delle gambe. Non va peraltro dimenticata la storica battaglia per il diritto delle donne di entrare in uno stadio, combattuta contro il regime islamico in Iran.
Insomma, il rapporto tra Corano e pallone è piuttosto complesso ed è ben spiegato in un libro appena pubblicato: “Il centravanti e la Mecca” (Paesi edizioni), a cura di Rocco Bellantone.
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