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C’erano un coreano, un nigeriano e un georgiano

No, non è la solita barzelletta: lo scudetto del Napoli non è uno scherzo e la squadra, un incastro perfetto di voci e culture

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C’erano un coreano, un nigeriano e un georgiano

No, non è la solita barzelletta: lo scudetto del Napoli non è uno scherzo e la squadra, un incastro perfetto di voci e culture

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C’erano un coreano, un nigeriano e un georgiano

No, non è la solita barzelletta: lo scudetto del Napoli non è uno scherzo e la squadra, un incastro perfetto di voci e culture

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No, non è la solita barzelletta: lo scudetto del Napoli non è uno scherzo e la squadra, un incastro perfetto di voci e culture

Un georgiano, un coreano, un nigeriano, punte di diamante di una pmi italiana che ha vinto lo scudetto. E per toccare anche altri continenti, in rosa c’è anche un messicano. Sembra una delle solite barzellette, ma il titolo del Napoli, il terzo della storia, non è certo stato uno scherzo. Piuttosto, la fotografia in alta definizione di un club che ha saputo osare, rischiare tutto sulla competenza, sulle idee, puntando sui nuovi mercati del calcio, forse poco glamour, forse poco conosciuti ma tremendamente redditizi. Una nuova traccia nel pallone che strapaga le stelle o presunte tali, soprattutto se brasiliane, francesi, inglesi, che arrivano a quotazioni inavvicinabili dopo qualche gol e giocate riuscite. Chi l’avrebbe fatto, nel calcio italiano? Chi avrebbe presentato a uno stadio da 50 mila spettatori un pacchetto di talenti sconosciuti?

Victor Osimhen – centravanti tra i primi cinque a livello mondiale – con il 22esimo centro ha siglato il gol del tricolore azzurro. In ogni caso, arriva dalla Nigeria che ha saputo esprimere nei decenni una serie di calciatori di grande valore (da Kanu al mitico Jay Jay Okocha). Piuttosto, l’investimento a occhi chiusi del direttore sportivo del Napoli, Cristiano Giuntoli, su Kvicha Kvaratskhelia, 22 anni e un trascorso breve nel calcio russo, prima dello stop per la guerra in Ucraina, era parsa a molti una mossa ardita di poker. L’erede di Lorenzo Insigne, da Tbilisi, lanciato in prima squadra, titolare, senza titubanze: Kvara era stato visionato, passato allo scan per anni. Nessun dubbio, il Napoli era anche disposto ad attenderlo nel fisiologico processo di adattamento all’Italia.

E invece, magie, reti, assist, ecco subito Kvara, che dopo la conquista del titolo si è seduto nello spogliatoio degli ospiti della Dacia Arena di Udine, avvolto nella bandiera georgiana, ed è scoppiato in lacrime.  Ora è una star. Con Leao e Osimhen, la star della Serie A. Come Kvara, forse più di Kvara, perché in ogni caso il talento del georgiano è talmente cristallino che sarebbe saltato all’occhio anche di altre società, c’è Kim Min Jae. Il difensore centrale sud-coreano era una colonna del Besiktas certo, ma senza alcun segnale di grandezza nel suo pedigree: 25 anni, nel curriculum la conoscenza del coreano, di un po’ di turco, nessuna traccia dell’inglese. Eccolo paracadutato a Napoli, usi e costumi orientali nella filosofia di vita napoletana. In pochi minuti è diventato Kim.

E’ stato il miglior difensore del campionato, uno dei migliori in Champions League, la sua concentrazione e applicazione ha stregato il Maradona che lo segue ritmando il suo nome. Ha una clausola rescissoria intorno ai 50 milioni di euro, potrebbe lasciare dopo una stagione per la Premier League pronta a bussare con una valanga di sterline. Ma ha fatto la storia in un contesto in cui lo stratega Spalletti ha saputo mettere a sistema quanto di meglio è arrivato da campionati sinora poco battuti e che forse ora conosceranno gloria e spazio nel calcio europeo.

Il punto centrale della strategia del Napoli è che questi ragazzi sarebbero stati attesi, protetti dal club anche se i risultati non fossero arrivati, anche se il pubblico avesse mugugnato. Si chiama programmazione. L’unico asset, assieme alle risorse, per sopravvivere nella giungla dorata del calcio.

di Nicola Sellitti

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