Coppa Wimbledon, fragole e panna
Costumi e ricorrenze sul verde del tennis inglese. In termini di marketing l’avventura si chiama “Wimbledon Experience”
Coppa Wimbledon, fragole e panna
Costumi e ricorrenze sul verde del tennis inglese. In termini di marketing l’avventura si chiama “Wimbledon Experience”
Coppa Wimbledon, fragole e panna
Costumi e ricorrenze sul verde del tennis inglese. In termini di marketing l’avventura si chiama “Wimbledon Experience”
Costumi e ricorrenze sul verde del tennis inglese. In termini di marketing l’avventura si chiama “Wimbledon Experience”
Chi è capitato a Wimbledon ricorda soprattutto le coppe di fragole con panna. Quest’anno al vincitore di quello che viene considerato il torneo di tennis più elitario (oltre che più antico) del mondo andranno 2,7 milioni di sterline. Per altri è una manifestazione ‘democratica’: ha colmato il salary gender gap (i premi sono uguali per i due sessi), i tifosi arrivano in metropolitana e stanno in coda per ore, inoltre il volontariato e la beneficenza giocano un ruolo significativo. Benvenuti quindi a Wimbledon, che è il nome di un sobborgo di Londra (individuato con il codice postale SW19) noto in tutto il mondo e che rappresenta un tipico caso di identificazione di un luogo con un evento. Una località, un torneo.
La prima volta, nel 1877, fu giocato in Wesley Road. Nel 1922 le partite vennero spostate in Church Road perché servivano più campi (uno adesso è anche copribile) e più spazio. In termini di marketing l’avventura si chiama “Wimbledon Experience” perché questo è l’unico luogo al mondo dove ti può capitare di avere il principe William e la diafana Kate al tuo fianco mentre fai la fila per entrare in un campo secondario. O di camminare nei vialetti disegnati con composizioni di fiori viola e incrociare il numero uno della classifica mondiale Jannik Sinner mentre va ad allenarsi. Eppure, al netto dei discreti bodyguard, nessuno si sogna di molestare un campione o una celebrity: «No fans, we are British». E chi non lo è si deve adeguare. Anche perché chi ci prova si ritrova un secondo dopo fuori dai cancelli per non rientrare più. Fondamentale è presentarsi con la District Line della metropolitana a Southfields Station, mezz’ora circa da Londra, tra le 6 e le 7 del mattino. Più tardi è sconsigliato. Se incarnate il low profile, vi serviranno solo uno zaino, un paio di teli da stendere in terra, un libro, un giubbotto impermeabile, una felpa, qualche panino. Appena usciti dal Tube, basta seguire i cartelli e dopo cento metri si entra in un bel prato verde con laghetto sullo sfondo. Con il tuo numerino vieni fagocitato in un lunghissimo serpentone: fino alle 10 non ci si può muovere perché i cancelli del club sono chiusi. Se ti metti in fila alle 6, in genere sei dentro per le 11. Se ci vai alle 7, entri alle 12. Con un biglietto da 35 sterline hai l’accesso a 14 campi su 18.
Neanche il Centre Court e i campi 1 e 2 sono interdetti. Sopra e di fianco la Hill – altro punto ‘magico’ per vedere le partite sul maxischermo del campo 1 – ci sono le casette del resale: dopo le 16 si possono acquistare (con 10 o 20 sterline) i biglietti di chi è tornato a casa. Gli incassi di questi ticket, cioè l’upgrade dai semplici ground ai campi principali, sono destinati alla beneficenza. Il torneo coinvolge 900 volontari e ogni anno devolve fondi ai meno fortunati attraverso la Fondazione. Per i 280 ballboys, i raccattapalle dai 9 anni in su (selezionati tra le scuole della contea), è un’esperienza di vita e di responsabilità, come racconta anche Angelo Carotenuto nel suo bel romanzo “La grammatica del bianco”, edito da Rizzoli.
Di Franco Vergnano
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