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Cosa resta di Michael Schumacher

Sono passati dieci anni dall’incidente di Michael Schumacher. Dieci anni di silenzi e informazioni vaghe sulla eterna divinità volante
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Cosa resta di Michael Schumacher

Sono passati dieci anni dall’incidente di Michael Schumacher. Dieci anni di silenzi e informazioni vaghe sulla eterna divinità volante
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Cosa resta di Michael Schumacher

Sono passati dieci anni dall’incidente di Michael Schumacher. Dieci anni di silenzi e informazioni vaghe sulla eterna divinità volante
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Sono passati dieci anni dall’incidente di Michael Schumacher. Dieci anni di silenzi e informazioni vaghe sulla eterna divinità volante
Non è affatto facile collocare Michael Schumacher nel pantheon dello sport mondiale. Di sicuro ha ragione Bernie Ecclestone, il controverso genio inglese che si è inventato la F1 moderna prima di cederla a cifre miliardarie ed è diventato di nuovo padre a quasi 90 anni: l’ex pilota della Ferrari era una star, una divinità del volante. Sono passati dieci anni dall’incidente di “Schumi” sugli sci: dieci anni di silenzi, informazioni vaghe da infermieri infedeli, inchieste sui soccorsi tardivi sulle nevi dell’Alta Savoia dove si consumò il dramma sotto gli occhi del figlio Mick. Ancora poco si sa dello stato di salute del quasi 55enne tedesco che vinse cinque titoli mondiali con la Ferrari. La famiglia gli ha costruito intorno una cortina di ferro. Dalla moglie ai due figli, fino ai selezionati amici che mai hanno raccontato nulla o quasi alla stampa. Hanno soltanto lasciato intendere che Schumi vivesse su una nuvola. La sua nuvola. Piuttosto che interrogarsi su quanto avvenuto dieci anni fa, meglio pensare a cosa avrebbe fatto Schumacher nel post carriera. Se avesse occupato uno scranno di potere nell’attuale F1 – alla Mercedes o alla Ferrari – oppure cosa avrebbe pensato di Max Verstappen, uno di quelli della sua taglia, con lo stesso istinto del killer e pazienza se la simpatia non è compresa nel pacchetto. A Michael Schumacher la patente di grandezza fu donata da Ayrton Senna, che andò nel box a litigarci nel 1992 a Magny-Cours. Il brasiliano – che resta il più grande di sempre perché nello sport non contano soltanto i numeri ma anche la legacy, quel patrimonio da trasferire poi negli anni agli eredi del volante – aveva capito che Schumi poteva batterlo. Che il passaggio del testimone era più vicino di quanto pensasse. Non accadde soltanto perché due anni dopo – l’1 maggio 1994 – arrivò lo schianto di Imola che spense Senna per sempre. Ma il brasiliano aveva fatto in tempo a osservare Schumi in pista e ai box, cogliendo al volo il fatto che il tedesco fosse della sua stessa taglia, fuoriclasse assoluto, velocissimo ma non certo un santo, anzi. Per informazioni basta un giro su YouTube, oppure si può chiedere a David Coulthard (rissa sfiorata a Spa nel 1998), Damon Hill, Mika Hakkinen (che pure Schumi stimava). Oppure ai compagni di scuderia, letteralmente corrosi dalla competitività del tedesco, affetto dalla mania della perfezione che definisce i campioni. L’ossessione della vittoria: preparazione fisica, conoscenza perfetta della vettura, ore e ore nel paddock con i meccanici per preparare la macchina. Questo era Schumacher. Tornando alla sua vita dopo quel maledetto incidente, resta il comportamento della moglie Corinna: mai una concessione al gossip, alle voci, mai nulla che lasciasse trapelare il dolore dei familiari. Ha saputo racchiudere il suo adorato marito in una bolla. Dignità, ostinata tutela della privacy, niente post o tweet, dalla luce al buio. di Nicola Sellitti La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

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