Daniele Garozzo, impegno e merito in punta di fioretto
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Daniele Garozzo non è solo il campione olimpico di fioretto ma, oggi, anche laureato in Medicina dello Sport con 110 e lode. E racconta a La Ragione le difficoltà di coniugare carriera sportiva e studi in Italia.

Daniele Garozzo, impegno e merito in punta di fioretto
Daniele Garozzo non è solo il campione olimpico di fioretto ma, oggi, anche laureato in Medicina dello Sport con 110 e lode. E racconta a La Ragione le difficoltà di coniugare carriera sportiva e studi in Italia.
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Daniele Garozzo, impegno e merito in punta di fioretto
Daniele Garozzo non è solo il campione olimpico di fioretto ma, oggi, anche laureato in Medicina dello Sport con 110 e lode. E racconta a La Ragione le difficoltà di coniugare carriera sportiva e studi in Italia.
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Ore in pedana, adesso anche in corsia. Daniele Garozzo è uno dei fenomeni della scherma italiana. Un fiorettista dalla stoccata precisa. Chirurgica, verrebbe da scrivere. Scelte nette, idee chiare: a marzo l’olimpionico di Tokyo 2020 (argento) e Rio 2016 (oro) si è laureato con 110 e lode e adesso è specializzando alla Scuola di Medicina dello Sport all’Università di Tor Vergata a Roma.
Fuoriclasse come negli affondi, ha lasciato le Fiamme Gialle dopo undici anni per rincorrere un sogno divenuto obiettivo di vita: quello di conciliare scherma e medicina. Non proprio un percorso agevole, in Italia. «Devo ringraziare l’Università di Tor Vergata perché mi ha permesso di seguire un percorso universitario in base ai miei impegni sportivi. Mi sono così potuto laureare. Purtroppo nelle istituzioni scolastiche italiane lo sport è vissuto come un comprimario, per non dire di peggio» spiega l’olimpionico. «Seguire contemporaneamente la carriera e gli studi diventa quasi impossibile. Non esistono, per esempio, gli appelli d’esame straordinari per gli atleti così come non c’è la possibilità di usufruire dei tutor per colmare le lacune nella preparazione».
La distanza con altri Paesi resta insomma incolmabile, soprattutto se si pensa al modello americano. Oltreoceano gli atenei, tramite la concessione delle borse di studio, consentono agli sportivi di proseguire negli studi: «Negli Stati Uniti c’è un’attenzione allo sportivo che non ha mai fatto parte della nostra cultura. Da noi contano soltanto i risultati. Per assicurarsi un futuro, gli atleti entrano nelle forze dell’ordine per poi essere assorbiti in qualche ufficio a fine carriera. È venuto ormai il momento di costruire un percorso parallelo» spiega Garozzo. «I nostri atenei potrebbero offrire anch’essi borse di studio agli sportivi, creando così i presupposti per competere e studiare. In tal modo non si precluderebbe loro l’ingresso nel mondo del lavoro».
Senza interventi che garantiscano l’esercizio del diritto allo studio degli sportivi a livello agonistico, il rischio è infatti quello di produrre campioni impreparati alle insidie del post carriera: «Anche per me non è facile. Dall’apice della piramide riparto da zero, non sono certo un primario» ammette Garozzo. «Soprattutto occorre pensare a chi non ha strumenti per affrontare il momento successivo al ritiro».
Il suo fioretto è affilato anche contro la scherma, assieme al nuoto uno dei punti di forza del medagliere italiano ai Giochi olimpici. «Restiamo lo sport che trova visibilità solo in occasione delle Olimpiadi, ma la Federazione mondiale deve pensare a rivedere il suo format» riflette. «Gli incontri sono troppo lunghi, la stoccata con eliminazione a 15 colpi rende i tornei non scontati ma non vince sempre il più forte e in questo modo manca il campione a cui il pubblico possa affezionarsi. Non esiste il Valentino Rossi o la Federica Pellegrini della scherma. Dobbiamo avvicinarci ai ragazzi che vedono lo sport in un altro modo, più snello e diretto».
di Nicola Sellitti
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