Ora basta: salvate il soldato Novak Djokovic da sé stesso. C’è un limite oltre il quale una vicenda da globale diventa semplicemente ridicola e questo limite, nel caso del tira e molla sul numero 1 del tennis mondiale e gli Open d’Australia, è stato abbondantemente superato.
Le cronache delle ultime 24 ore parlano del visto d’ingresso negato al campione serbo per la seconda volta nel giro di una settimana, dell’immediato ricorso, della sospensione del provvedimento stesso ai danni del giocatore, peraltro finito nuovamente in stato di fermo, come gli era già capitato nell’ormai famigerato “Covid hotel”. Parrebbe fra scarafaggi e pasti non proprio principeschi, che se confermati varrebbero una ben modesta figura per l’Australia e segnatamente le autorità dello Stato di Victoria a prescindere dal destino personale di Djokovic, ma questa è un’altra storia.
L’unica cosa sensata, ormai, può essere una ritirata strategica del giocatore e del suo scatenato entourage. Prima che i danni tracimino oltre il sopportabile. Che senso ha parlare ancora di sport, di tennis, di Open dopo questa infinita sceneggiata? Dispiace dirlo, ma Novak ho sbagliato tutto ciò che era umanamente possibile sbagliare e gli errori si pagano. Anche e soprattutto se sei il numero 1.
Non resta che tornarsene a casa, appena gli sarà consentito dagli australiani, cercando di ricostruire quanto prima un nome e una faccia. Altre strade non se ne vedono e l’unica rimasta appare tutto tranne che indolore per Nole e il tennis.
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