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Elogio del portiere, ultimo ruolo romantico

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Sta di fatto che il nostro sport nazionale non sforna più campioni. Con una grande, luminosa, eccezione: quella del portiere

Elogio del portiere, ultimo ruolo romantico

Sta di fatto che il nostro sport nazionale non sforna più campioni. Con una grande, luminosa, eccezione: quella del portiere

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Elogio del portiere, ultimo ruolo romantico

Sta di fatto che il nostro sport nazionale non sforna più campioni. Con una grande, luminosa, eccezione: quella del portiere

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Quando abbiamo smesso di giocare a pallone? Non in senso stretto, ovvio, ma quando abbiamo smesso di produrre giocatori di calcio in gran numero e di livello internazionale?

È una domanda diffusa, ormai, determinata anche dall’impressionante esplosione di talenti nel tennis. Sport per certi aspetti agli antipodi del calcio, vivendo di puro talento individuale, controllo dei nervi, gestione maniacale delle pressioni, delle paure, delle gioie e dei dolori agonistici. Ed emozioni contrastanti e dolorose come ieri sera con Sinner e Dimitrov.

Sta di fatto che il nostro sport nazionale non sforna più campioni. Ottimi giocatori senza dubbio, buoni protagonisti ed eccellenti comprimari dei fuoriclasse che proviamo a importare dai cinque continenti, ma quanto a casa nostra è da un pezzo che non vediamo affermarsi giocatori di reale caratura internazionale. Con la luminosa eccezione del portiere.

Non crediamo proprio sia un caso che l’unico ruolo in cui continuiamo senza sosta a essere fra i leader mondiali sia questo.

Il più particolare, difficile, anarchico, vagamente folle. Di sicuro – ed eccoci al nostro ragionamento – il meno inscatolabile in ambiti ben precisi. Quello meno facile da soffocare (anzi impossibile) da tatticismi che sembrano fatti apposta per frustrare bambini e ragazzi, allontanarli dal campo di gioco e spingerli verso altri sport.

Da sempre, in porta ci vanno quelli un po’ matti, i protagonisti, quelli che non hanno voglia di correre, quelli magari un po’ meno forti degli altri. Gli irregolari.

Poi scoprono il brivido terribile di essere l’ultima speranza dei compagni e della squadra, quelli i cui errori si vedono sempre il doppio, ma che quando compiono un “miracolo“ pesano più di tutti.

Abbiamo, così, i Donnarumma e tanti altri, mentre negli altri ruoli diventiamo via via più pallidi e non di rado noiosi.

Bimbi e ragazzi, però, ci vanno ancora eccome a giocare a pallone: molto prima dei pensosi ragionamenti sui giovani da far giocare in Serie A (lo ripetiamo ogni anno e poi i tifosi vogliono solo il nome straniero…), lasciamoli liberi nei campetti dei “piccoli amici“, “primi calci“ e “pulcini“. Fateli dribblare, fateli sbagliare, fateli ritirare da metà campo, fateli provare cose assurde e improbabili. Fateli divertire e qualcosa accadrà.

Ps Cari genitori, potete anche starvene a casa agli allenamenti e alle partite o almeno zitti e buoni, come direbbero i Måneskin. È l’unico modo per non far danni.

di Fulvio Giuliani

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