Filippo Tortu ricorda Pietro Mennea
Filippo Tortu ricorda Pietro Mennea
Filippo Tortu ricorda Pietro Mennea
Erano in tanti ieri allo Stadio dei Marmi, al Foro Italico, per ricordare Pietro Mennea. La cerimonia per il decennale della morte della leggenda dello sprint italiano è iniziata alle 10.01: un omaggio al primato italiano sui 100 metri che gli è appartenuto per quasi quarant’anni. Roma lo ricorderà con un museo all’interno dello Stadio dei Marmi. Si avvera così uno dei sogni di Mennea, come ha ricordato la moglie Manuela Olivieri. La prova fisica che il fuoriclasse in realtà non è mai morto. Resta e continuerà a essere uno dei più grandi sportivi italiani di sempre. Forse il migliore di tutti, negli sport individuali. Non solo perché per 17 anni (dal 1979 al 1996) è stato il velocista più forte, non solo per i primati e i successi ma per la fame, la perseveranza, la capacità di alzare costantemente l’asticella e andare oltre il limite – in pista come negli studi (quattro lauree, 23 libri scritti o “compartecipati”) – conoscendo la sofferenza della fatica.
Moltissimi italiani si sono identificati in Mennea. Quando era in gara attirava tifosi come la Nazionale di calcio e la Ferrari. Rimane un eroe, un modello che si propone a quanti sono nati, corrono e fanno sport decenni dopo la sua morte. Gli americani la definiscono legacy, qualcosa che va oltre l’incredibile oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca 1980 oppure il primato sui 200 metri nel 1972 (che solo un altro fenomeno come Michael Johnson ha saputo superare, ai Giochi Atlanta, 24 anni dopo). 29 medaglie d’oro in 18 anni di carriera, 530 gare disputate, cinque Olimpiadi di fila: anche Muhammad Alì ha voluto conoscerlo.
«Pietro Mennea è stato un punto di riferimento straordinario per come si è approcciato agli allenamenti, per la capacità di andare oltre la fatica, oltre lo sforzo» ci racconta Filippo Tortu, uno degli eroi della 4×100 d’oro ai Giochi di Tokyo 2020 e bronzo sui 200 agli Europei 2022. «Non dobbiamo ricordare Pietro solo per i risultati sportivi, che restano incredibili, ma per la passione verso lo sport che lo ha reso esempio immortale». Tortu ne ha raccolto il testimone, sfilandogli il primato italiano sui 100 metri, andando anche sotto la soglia dei 10 secondi (9.99), due centesimi meglio della leggenda da Barletta, poi superato tre anni dopo alle Olimpiadi nipponiche dal 9.80 di Marcell Jacobs. Pietro avrebbe apprezzato l’exploit di Tortu, conoscendo il verbo della fatica necessaria per stampare primati in grado di resistere per anni.
«Mi resta dentro il ricordo di una persona splendida, di lui ho parlato tanto anche con la moglie Manuela» spiega ancora il campione, che ha partecipato al documentario Rai “Ma chi sei, Mennea?”. «Avevo otto anni quando mi sono imbattuto in Pietro al mare, in vacanza con i miei genitori. Lo ricordo anche in pista, ad allenare e dare consigli a mio fratello. Pietro è un mito, il mio mito». Un pensiero condiviso, collettivo: nessuno sarà mai come la Freccia del Sud.
di Nicola SellittiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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