Giannelli capitano Jedi
Andrea Lucchetta, un uomo con cui varrebbe la pena parlare ogni giorno per ricordarci quale sia l’essenza più profonda dello sport, incorona il capitano degli Azzurri
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Giannelli capitano Jedi
Andrea Lucchetta, un uomo con cui varrebbe la pena parlare ogni giorno per ricordarci quale sia l’essenza più profonda dello sport, incorona il capitano degli Azzurri
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Giannelli capitano Jedi
Andrea Lucchetta, un uomo con cui varrebbe la pena parlare ogni giorno per ricordarci quale sia l’essenza più profonda dello sport, incorona il capitano degli Azzurri
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Andrea Lucchetta, un uomo con cui varrebbe la pena parlare ogni giorno per ricordarci quale sia l’essenza più profonda dello sport, incorona il capitano degli Azzurri
«Io, dopo questa gioia, me ne posso anche tornare tranquillamente nel sarcofago. Che non si parli più di noi, adesso ci sono loro e tocca a loro emozionarci e vincere». Andrea Lucchetta, capitano e uomo decisivo dello storico titolo mondiale del 1990 in Brasile è sempre lui: dissacrante, immaginifico, estasiato davanti alla bellezza della vita. Un uomo con cui varrebbe la pena parlare ogni giorno per ricordarci quale sia l’essenza più profonda dello sport.
Continua a ripeterlo, sono belli da vedere ed elettrizzanti da seguire gli Azzurri neo campioni del mondo di pallavolo. Non parliamo di tecnica, talento e tattica ma di come hanno saputo vincere: «Simone Giannelli ha usato parole da uno della “generazione di fenomeni”, quando ero io capitano della Nazionale. Noi giocavamo per la maglia e per il tricolore. Il gruppo di allora scardinò un mondo e fece i conti anche con delle resistenze, ma c’erano solo carta stampata e televisione. Ora te la vedi con i social e tutto il resto. Giannelli è stato fondamentale, in sintonia con la Federazione, nel dare valore alla maglia azzurra. Noi giochiamo per l’Italia. Noi siamo l’Italia. Ci mettiamo al servizio del Paese. Lo sport ha dimostrato non solo di vincere, ma di convincere della grande opportunità che noi tutti abbiamo come Paese: vantiamo grandi eccellenze, lavorative e sportive. Non è un caso che il presidente Sergio Mattarella abbia ignorato i protocolli, invitando subito i ragazzi al Quirinale. L’Italia gioca per la maglia e non per il cognome stampato sulla schiena. È questa la differenza».
Leggeri e spietati, hanno ricordato il motto reso immortale da Mohammed Alì – «Vola come una farfalla, pungi come un ape» – e il manifesto di questo spettacolare gruppo è proprio colui che l’ha creato. Fefè De Giorgi, uno che era in campo 32 anni fa e imparava da Lucchetta e Velasco: «Il gruppo è stato gestito perfettamente da un duro del 1990. Era in panchina e sapeva come e quando entrare e mettersi al servizio del gruppo. Ferdinando ha un trascorso per cui sa perfettamente le contromisure da attuare quando le cose non vanno bene. Non è un caso che sia sempre molto pacato – Lucchetta abbassa il ritmo del ragionamento perché certi sogni pesano – e questo equilibrio può darti ampie garanzie di costruzione di una squadra che il prossimo anno andrà agli Europei e poi punterà alle Olimpiadi». L’unico obiettivo sempre sfuggito.
Quando parli con Andrea Lucchetta sai che non potrai sottrarti alle sue leggendarie metafore: «Domenica mi sono sentito come il maestro Obi Wan Kenobi di “Star Wars”, che si spegne e passa la propria energia a Simone Giannelli, perché è arrivato il momento di farsi trafiggere da Darth Vader. Era arrivata l’ora di lasciare la mia energia nelle mani di Simone Giannelli, che mi ha dato la consapevolezza – 32 anni dopo – di essermi ritrovato in un nuovo capitano. È lui, ora, il cavaliere Jedi di questa Nazionale che punta alle Olimpiadi di Parigi. Siamo noi la squadra da battere».
Mentre andavano a vincere sorridendo una finale dominata sulla Polonia, gli Azzurri davano la sensazione di essere felici lì, con i loro compagni. Come Andrea Lucchetta, ora che il campo è inesorabilmente lontano, di regalare la sua esplosiva voglia di vivere ai bambini: «Ne incontro 35mila all’anno e gioco con ognuno di loro. Sono i miei padawan (gli allievi dei maestri Jedi di “Star Wars”, ndr.) e sono felice così».
Di Diego de la Vega
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