Giuseppe Gibilisco, abbandonato da chi doveva proteggerlo
Gibilisco, astista campione del mondo nel 2003, venne accusato di doping dal Coni. Nonostante l’assoluzione, pensò di suicidarsi
Giuseppe Gibilisco, abbandonato da chi doveva proteggerlo
Gibilisco, astista campione del mondo nel 2003, venne accusato di doping dal Coni. Nonostante l’assoluzione, pensò di suicidarsi
Giuseppe Gibilisco, abbandonato da chi doveva proteggerlo
Gibilisco, astista campione del mondo nel 2003, venne accusato di doping dal Coni. Nonostante l’assoluzione, pensò di suicidarsi
Gibilisco, astista campione del mondo nel 2003, venne accusato di doping dal Coni. Nonostante l’assoluzione, pensò di suicidarsi
«Quell’oro mi ha rovinato» confessa Giuseppe Gibilisco. Atleta di primo livello, campione del mondo di salto con l’asta a Parigi nel 2003 e bronzo olimpico ad Atene 2004, oggi è assessore allo sport a Siracusa. Quando ripensa al suo passato vede tutto nero, è consapevole che la sua passione gli ha reso la vita impossibile. Nel 2007, alla vigilia dei giochi di Pechino, il Coni lo squalificò per due anni e mezzo. Doping, dissero. La carriera di Gibilisco andò in frantumi, e così la sua vita.
Tanto rumore per nulla, visto che prima il tribunale sportivo di Losanna, a cui fece ricorso, e poi la giustizia penale italiana lo assolsero perché «il fatto non sussisteva». Ma ormai il danno era fatto: il gruppo sportivo della Guardia di Finanza, a cui Gibilisco apparteneva, aveva chiuso con lui ogni rapporto. «Arrivai ad avere 43 euro sul conto – ha raccontato alla Gazzetta dello Sport – e dovetti vendere l’auto per pagarmi un avvocato. A un certo punto, da finanziere, presi in mano la pistola d’ordinanza e pensai di uccidermi».
Guardandosi alle spalle, Gibilisco sa a chi dare la colpa: «Chi mi accusava? Il tribunale antidoping del Coni, che è riuscito ad affossarmi proprio quando ero all’apice». Ma non c’è, in lui, desiderio di vendetta. Perché a suo dire le cose sono cambiate, forse proprio grazie a lui. Ora c’è più rispetto per gli atleti. Basti pensare al caso di Jannik Sinner, in cui tutti gli organismi sportivi italiani hanno levato gli scudi in difesa del tennista.
Di Umberto Cascone
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