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Harrison Dillard, vita sportiva e no senza eguali

Il velocista e ostacolista statunitense Harrison Dillard e la sua vita da record, anche nel suo ultimo giorno di vita

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Harrison Dillard, vita sportiva e no senza eguali

Il velocista e ostacolista statunitense Harrison Dillard e la sua vita da record, anche nel suo ultimo giorno di vita

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Harrison Dillard, vita sportiva e no senza eguali

Il velocista e ostacolista statunitense Harrison Dillard e la sua vita da record, anche nel suo ultimo giorno di vita

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Il velocista e ostacolista statunitense Harrison Dillard e la sua vita da record, anche nel suo ultimo giorno di vita

Quando nella sua Cleveland ha chiuso definitivamente gli occhi, alla invidiabile età di 96 anni, Harrison Dillard si è portato nella tomba una vita, sportiva e no, con pochi eguali.

Le premesse, per altro, non erano così foriere di serenità, come ai neri nati nel rurale Ohio negli anni ’20 dello scorso secolo accadeva spesso. Non si scoraggia: si iscrive al liceo dove incontra Charly Paddock, oro olimpico nei 100 ad Anversa, protagonista anche ai Giochi di Parigi al punto che la sua figura sarà tratteggiata nell’immortale “Momenti di gloria”. Vita avventurosa quella di Paddock, chiusa tragicamente in un incidente aereo durante la seconda guerra mondiale. E al fronte finisce pure Harrison Dillard, interrompendo la carriera di atleta a cui lo aveva incoraggiato proprio Paddock. È arruolato nei leggendari Buffalo Soldiers, il reparto composto da soli neri che si distinguerà per coraggio e qualità militari, ma quando torna ha 23 anni e sembra tardi, sia per la scuola che per l’atletica.

Non si scoraggia neppure quella volta: alla Baldwin-Wallace College studia e riprende ad esercitarsi con i blocchi, ispirato dalle imprese di Jesse Owens, nato in Alabama ma cresciuto a Cleveland pure lui. Più che la velocità preferisce gli ostacoli e non si può dargli torto. Domina i campionati universitari e sulle barriere mette in fila 82 vittorie consecutive, record che soltanto Edwin Moses riuscirà a battere. La grande occasione sono i Giochi di Londra del 1948. A 25 anni, in un’epoca in cui con l’atletica non si fanno denari, potrebbe essere l’unica della sua vita, ma per arrivarci deve passare attraverso la trappola dei Trials, le gare di selezione americana: niente sconti, primi tre a Londra, gli altri a casa. Finisce fuori dal podio, addio.

Non si arrende lo stesso, strappando la qualificazione per i 100 metri. Va a Londra e vince, aggiungendo all’oro individuale conquistato con il primato del mondo il titolo della 4×100. Soddisfatto? Neanche a parlarne, la mancata qualificazione sugli ostacoli gli rimane sullo stomaco. Ci riprova quattro anni dopo, questa volta non lo ferma nessuno, né ai Trials né a Helsinki, sede dei Giochi 1952. Supera le 10 barriere dei 110 ostacoli in 13.9, record olimpico eguagliato, e anche in Finlandia è nel quartetto che si impone nella 4×100. Vita piena, in ogni senso. Fa il conduttore radiofonico, è osservatore per i Cleveland Indians di baseball, lavora come manager al sistema scolastico della città, viene accolto nella Hall of Fame dell’atletica americana. Prima ancora aveva inutilmente tentato di qualificarsi, ormai 33enne, alla sua terza olimpiade, lui che per la guerra avrebbe già potuto gareggiare in quella non tenuta nel 1944.

Non smetterà di stabilire record, sino all’ultimo giorno della sua vita: quando muore, il 15 novembre 2019, era la più vecchia medaglia d’oro olimpica vivente.

di Nicola Roggero

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