Il calcio immobile
E così la Serie A di calcio resta a 20 squadre. È fallito il tentativo delle “grandi“ Juventus, Inter e Milan di ridurre il massimo campionato a 18
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E così la Serie A di calcio resta a 20 squadre. È fallito il tentativo delle “grandi“ Juventus, Inter e Milan di ridurre il massimo campionato a 18
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E così la Serie A di calcio resta a 20 squadre. È fallito il tentativo delle “grandi“ Juventus, Inter e Milan di ridurre il massimo campionato a 18
E così la Serie A di calcio resta a 20 squadre. È fallito il tentativo delle “grandi“ Juventus, Inter e Milan (in realtà sostenute almeno da Roma e Napoli e forse da Lazio e Fiorentina) di ridurre il massimo campionato a 18, in modo da liberare quattro date. Non per l’ansia di risparmiare fatica ai giocatori lautamente pagati, ma per poter gestire al meglio le partite in più che si annunciano nelle prossime stagioni. A cominciare dalla Champions League extra large. Niente da fare, per un calcio che sembra condannato all’immobilismo.
Scritto da chi ha detestato l’idea della Superlega, in particolar modo presentata in quel modo cialtronesco, nel cuore di una notte e senza futuro. Altro tema, invece, è rendersi conto che il giocattolino così non sta in piedi: 20 club in Serie A e 20 in Serie B sono troppi. Una marea di squadre, fra cui un numero insopportabilmente alto non attrezzate per i rispettivi campionati.
Quest’anno, il caso ha voluto che si avvertisse in modo particolarmente forte il distacco fra la “parte di sinistra” e quella “di destra“ della classifica: una differenza tecnica talvolta imbarazzante, con tante, troppe partite che non hanno proprio niente da dire. Comprendiamo la posizione delle “piccole “, che non vogliono perdere la possibilità di partecipare alla spartizione della grande torta del massimo campionato italiano, ma in realtà facendo così ci si mostra solo miopi. A lungo andare, il valore generale della nostra Serie A non potrà che perdere quota, schiacciato da una concorrenza che non sembriamo avere gli strumenti per poterla affrontare. Figuriamoci battere.
Se la Serie A incasserà, in proporzione si intende, sempre meno di inglesi, spagnoli e presto anche altri, le stesse quote riservate ai club più piccoli finiranno per ridursi. Condannandoli al ruolo di comparse.
Non un grande affare, mentre così facendo i club più ricchi saranno via via più tentati a indirizzare tutti gli sforzi e le attenzioni verso le ricchissime manifestazioni internazionali. Con l’enorme rischio di svuotare di peso i campionati nazionali.
Al momento ci salviamo grazie alla passione straripante di milioni di tifosi, per cui lo scudetto resta il principe dei sogni, ma le cose cambiano, i gusti evolvono. In particolare stiamo già rischiando di perdere per strada il ricambio degli appassionati. È un fatto che fra i più giovani il calcio non eserciti più l’attrazione magnetica di un tempo.
Non si scherza con il futuro e la decisione di ieri sembra semplicemente non voler guardare in avanti. In realtà, non guardare proprio da nessuna parte, difendendo uno status quo che fa acqua. Nell’indifferenza di troppi dei suoi stessi protagonisti.
di Fulvio Giuliani
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