Il calcio italiano tradito dalla Golden Age
La Serie A non attrae più i campioni come negli anni delle Sette Sorelle. Sembra strano, ma la causa è da trovare proprio in quell’era di sfarzi e grandi nomi.
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Il calcio italiano tradito dalla Golden Age
La Serie A non attrae più i campioni come negli anni delle Sette Sorelle. Sembra strano, ma la causa è da trovare proprio in quell’era di sfarzi e grandi nomi.
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La Serie A non attrae più i campioni come negli anni delle Sette Sorelle. Sembra strano, ma la causa è da trovare proprio in quell’era di sfarzi e grandi nomi.
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La Serie A non attrae più i campioni come negli anni delle Sette Sorelle. Sembra strano, ma la causa è da trovare proprio in quell’era di sfarzi e grandi nomi.
“Non è più come una volta: prima i campioni arrivavano in Serie A agli inizi o nel pieno della loro carriera, adesso, se vengono in Italia, lo fanno quando sono in fase calante”, questo è il concetto ribadito dall’ex centrocampista del Napoli, Salvatore Bagni, interpellato sull’amico e collega Diego Armando Maradona con cui ha condiviso gli anni d’oro del Napoli.
Maradona arrivò nella città partenopea dal Barcellona nell’estate del 1984 quando aveva appena 23 anni. Un ventennio magico per il calcio italiano che, soprattutto negli anni ‘90 e i primi Duemila, rappresentava il sogno di ogni campione. la Serie A con le sue Sette Sorelle (Inter, Milan, Juventus, Roma, Lazio, Fiorentina e Parma) rappresentava l’apice della carriera e non il declino.
E infatti, oltre al Pibe de Oro, sono diversi i campioni arrivati nel Belpaese nel pieno della loro forma fisica: Ronaldo “Il Fenomeno” all’Inter, sempre dai blaugrana, ci arrivò nell’estate del ‘97 a 21 anni non ancora compiuti; Zidane alla Juventus dal Bordeaux, nell’estate del ‘96 ancora 24enne; Shevchenko si trasferì dalla Dinamo Kiev al Milan quando aveva spento solo 23 candeline nell’estate del 1999.
Eppure, proprio quegli anni d’oro hanno posto le basi per intorbidire il calcio italiano con i presidenti delle società intenti a spendere e non a investire.
All’estero, Inghilterra su tutti, i club cominciavano a costruire stadi di proprietà, avviando collateralmente operazioni di merchandising, per rendere solido un sistema con sempre più guadagni ma anche più spese. Senza mai dimenticare l’importanza di investire nei settori giovanili, bacini da cui attingere un domani i futuri campioni da ricollocare sul mercato.
Mentre tutto questo accadeva in altri Stati, in Italia, le spese folli per i calciatori non erano controbilanciate da investimenti strutturali, con gravi conseguenze per i bilanci futuri. All’estero una maratona, in Italia i 100 metri piani.
IL MODELLO VIRTUOSO DELL’ATALANTA
Il calcio italiano non ha mai badato alla sostenibilità e i risultati, oggi, sono sotto gli occhi di tutti con società sempre meno appetibili e bilanci sempre più in rosso. Non senza le dovute eccezioni. Un esempio di calcio virtuoso e sostenibile è quello dell’Atalanta del presidente Antonio Percassi, capace di costruire una rosa da Champions League senza spese folli, generando anzi diversi milioni di euro dalle plusvalenze (sane e non inventate). Il modello della società orobica è caratterizzato da un marketing operativo opposto a quello proposto dai presidenti-mecenate delle “Sette Sorelle”: al posto degli investimenti per i top player, l’Atalanta investe strategicamente nello scouting guidato da Maurizio Costanzi, un vero e proprio “allevatore” di talenti che aveva già portato in auge il Chievo Primavera. Questo è stato l’investimento fondamentale, nel senso stretto del termine: costruire il progetto con le fondamenta solide per ripararlo da eventuali scosse. La ricerca di nuovi profili da valorizzare da parte dell’Atalanta si estende a tutta Italia, arrivando a contare più di ottanta società affiliate; una rete capillare di osservatori è presente anche in Europa (in particolare in Portogallo, Belgio e Polonia) e addirittura in Africa. Qui entra in campo l’importanza delle strutture sportive, anch’esse oggetto di importanti investimenti da parte del presidente Percassi. Quando lo staff di Costanzi individua un giovane talento, lo coltiva nelle sue strutture puntando alla crescita umana oltre che calcistica per farlo diventare un capitale sicuro per la società. A pochi giorni dal fallimento di una società storica come quella del Catania, e dal salvataggio in extremis della Salernitana, il calcio italiano ha solo un modo per guardare con fiducia al futuro: agire con pazienza, spargendo i semi oggi per raccogliere i frutti domani. di Giovanni PalmisanoLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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