Il Kaiser fuori dall’area
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Ultimo saluto a Franz Beckenbauer, leggenda indimenticabile del calcio tedesco la cui storia è indissolubilmente legata alla nostra
Il Kaiser fuori dall’area
Ultimo saluto a Franz Beckenbauer, leggenda indimenticabile del calcio tedesco la cui storia è indissolubilmente legata alla nostra
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Il Kaiser fuori dall’area
Ultimo saluto a Franz Beckenbauer, leggenda indimenticabile del calcio tedesco la cui storia è indissolubilmente legata alla nostra
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AUTORE: Diego de la Vega
Era tedesco che più tedesco non si poteva, persino nel soprannome: il “Kaiser”. Eppure di un’eleganza, di una classe innata sostanzialmente ignota ai giocatori della Bundesliga. Sino al suo avvento.
Franz Beckenbauer: sembra di vederlo ancora oggi ‘uscire’ palla al piede dalla propria area di rigore guardando fisso davanti a sé, lontano. Pronto a sventagliare lanci da 40 o 50 metri di sbalorditiva precisione. Ha giocato, vinto e trionfato con un senso di inevitabilità tutto teutonico. Non poteva che essere il migliore dei suoi e uno dei migliori al mondo: glielo leggevi sulla faccia da eroe nibelungico, la cui unica concessione alla moda del tempo era il capello arruffato a fine partita. Lui, il baluardo, quando nel calcio il ‘libero’ era l’uomo a cui si affidava l’ultima preghiera, l’ultimo tackle, la scivolata che poteva chiudere il discorso ed evitare un goal fatto.
Franz Beckenbauer noi italiani lo abbiamo anche cordialmente detestato per un bel po’: una delle icone di Italia-Germania quattroatre (rigorosamente attaccato), terminata con il braccio al collo dopo uno scontro di gioco. Simbolo suo malgrado di una giornata indimenticabile per il calcio azzurro e di tutto il nostro Paese. Poi, da capitano del Bayern Monaco e della Nazionale tante vittorie e il trionfo del mondiale del 1974 contro l’Olanda del calcio totale. Imbattibile per chiunque, ma non per la Germania del “Kaiser”. Anche due palloni d’oro nel 1972 nel 1976, mai impresa semplice per un difensore.
E che difensore, il più elegante che si sia visto sui campi di calcio, almeno fino a quando non sarebbe comparso – i casi della vita e del pallone – un altro ‘libero’ e con il suo stesso nome: Franco Baresi. Un legame, quello con l’Italia e con le vicende calcistiche dei nostri lidi, destinato a ripetersi più volte: era Franz Beckenbauer il commissario tecnico della Germania campione del mondo a Italia 90, alla testa della squadra che batté l’Argentina di Diego Armando Maradona nella più brutta finale della storia dei Mondiali. Non una sua colpa, per carità, ma la sensazione che quella partita decisa da un rigore etereo la ‘dovesse’ vincere la Germania – appena riunificata – aleggia ancora oggi. Ritroveremo il “Kaiser” a capo dell’organizzazione dei Mondiali a casa sua, nel 2006. Vi dice nulla? Avremmo trionfato noi e lui – imperturbabile e signorile – ci avrebbe osservato nella notte di Grosso e Del Piero battere proprio la Germania nella tana di Dortmund. Prima e dopo, tanto Bayern Monaco un po’ in tutti i ruoli possibili.
Con Beckenbauer se ne va un altro tassello di quel calcio che oggi veleggia spedito verso il mito: il pallone di Cruijff, Pelé, GigiRiva (di nuovo tutto attaccato), di Diego che si affacciava alla ribalta mondiale. Un calcio gonfio di talento e di personalità di impressionante caratura. Anche rapportate alle superstar di oggi: più globali, capaci di varcare confini un tempo preclusi alle stelle del calcio, ma troppo attente alle leggi del marketing e della comunicazione per diventare i miti che abbiamo appena citato.
Mondi diversi, bellezze diverse, modi diversi di dominare lo sport più popolare al mondo ma come scendeva palla al piede il “Kaiser”, nessuno mai.
di Diego de la Vega
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