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Il “mistero” dietro il campione fuori controllo

Per provare a comprendere le motivazioni dietro la posizione inamovibile di Djokovic bisogna guardare oltre il capitolo No-vax e ricordare che dietro un fenomeno c’è sempre un essere umano.
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Il “mistero” dietro il campione fuori controllo

Per provare a comprendere le motivazioni dietro la posizione inamovibile di Djokovic bisogna guardare oltre il capitolo No-vax e ricordare che dietro un fenomeno c’è sempre un essere umano.
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Il “mistero” dietro il campione fuori controllo

Per provare a comprendere le motivazioni dietro la posizione inamovibile di Djokovic bisogna guardare oltre il capitolo No-vax e ricordare che dietro un fenomeno c’è sempre un essere umano.
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Per provare a comprendere le motivazioni dietro la posizione inamovibile di Djokovic bisogna guardare oltre il capitolo No-vax e ricordare che dietro un fenomeno c’è sempre un essere umano.
È finita male, ma soprattutto è finita immensamente peggio di qualsiasi previsione azzardata da Novak Djokovic. La sceneggiata degli Australian Open e l’imbarazzante tira e molla sulla presenza del campione serbo sono innanzitutto figli di una gestione ridicola da parte degli organizzatori del torneo e questo va sempre ricordato, ma tutto sarebbe stato evitato se Nole non avesse fatto l’impossibile per imporre il suo volere al mondo del tennis e a un intero Paese. Non uno qualsiasi, ma fra quelli più schierati contro ogni ipotesi di cedimento all’ideologia no-vax. Perché, è pura cronaca, Djokovic si è trasformato nel paladino internazionale di chi rifiuta il vaccino. Prima con una serie di dichiarazioni quantomeno spericolate nei mesi delle prime somministrazioni di massa, poi con questo incredibile spettacolo in salsa australiana. Oltre le personali convinzioni no-vax, però, c’è dell’altro. Deve esserci, altrimenti risulta del tutto incomprensibile il rischio che il n. 1 al mondo si è assunto, in termini di reputazione personale prima ancora che squisitamente agonistici. Nole, il giocatore che da dieci anni domina la scena internazionale con più continuità di risultati e classifica di chiunque – a cominciare dagli storici avversari che con lui hanno fatto la storia del tennis, Roger Federer e Rafa Nadal – continua a essere percepito ‘meno’. Meno mito, meno affascinante, meno poetico, meno tutto. Come se in questo super club di fenomeni lui sia destinato a essere sempre il terzo, se non direttamente l’incomodo. Federer è ‘The King’, il mito assoluto, il giocatore che con la sua classe senza confini e un’eleganza naturale che sembra uscita da un libro di storia del tennis è un compendio di bellezza applicata allo sport. Il campione che gioca (ha giocato) in una dimensione tutta sua, senza reali avversari. Rafa Nadal è il fuoriclasse dell’applicazione mentale, l’asceta della terra rossa. Novak è… Novak, il fenomeno slavo, cittadino del mondo, poliglotta, eppure ferocemente legato alle sue origini, a quella terra perennemente in stato mentale d’assedio, dove tutto è sempre un’ottima occasione per affermare la propria unicità e diversità dal resto dell’universo. Djokovic sa perfettamente tutto questo è sa che non potrà mai essere Federer agli occhi del mondo, non coltiva neppure l’illusione di poter essere apprezzato come il fenomeno arrivato da Maiorca, per quanto sia in realtà più espansivo e istrionico di entrambi. Anche un ottimo e dissacrante imitatore di avversari e colleghi (memorabile la sua feroce imitazione delle urla di Maria Sharapova in campo). Nole sa tutto questo e sa che l’unico modo che ha è vincere più di loro, uno slam di più – ora sono tutti a quota 20 – e soprattutto centrare quel Grande Slam incredibilmente sfuggito all’ultima partita l’anno scorso, con la sconfitta a New York contro il russo Medvedev. Solo quest’ansia primordiale può spiegare l’incredibile serie di errori, forzature, esagerazioni inanellate nei giorni australiani. Non è una giustificazione, sia chiaro. Il nostro giudizio è sempre stato severo nei confronti delle posizioni irrazionali e incomprensibili del giocatore, ma provare a capire cosa ci si ci sia dietro la scelta dell’uomo è opportuno. Sempre. di Diego de la Vega

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