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La sconfitta nei cuori

Gli striscioni di ieri, prima della partita di Nations League Italia-Israele, sono la dimostrazione precisa e dolorosa della sconfitta di Israele nei cuori

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La sconfitta nei cuori

Gli striscioni di ieri, prima della partita di Nations League Italia-Israele, sono la dimostrazione precisa e dolorosa della sconfitta di Israele nei cuori

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Gli striscioni di ieri, prima della partita di Nations League Italia-Israele, sono la dimostrazione precisa e dolorosa della sconfitta di Israele nei cuori

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Gli striscioni di ieri, prima della partita di Nations League Italia-Israele, sono la dimostrazione precisa e dolorosa della sconfitta di Israele nei cuori

Ciò che ha preceduto la partita di Nations League della nazionale italiana di calcio contro Israele, ieri sera a Udine, è la dimostrazione plastica, la più precisa e dolorosa, di ciò che ripetiamo ormai da tempo: la sconfitta di Israele nei cuori.

Le misure da stato d’assedio, gli striscioni amari, un’atmosfera plumbea. Nulla cambia che allo stadio tutto sia filato liscio e che i primi fischi all’inno israeliano siano stati coperti da sacrosanti applausi. Resta la sconfitta. Che è poi la sconfitta di chi, come noi, crede nella democrazia israeliana, nello Stato di Israele e soprattutto nelle mille anime di un popolo complesso, straordinariamente evoluto e sfaccettato.

Certo, ci sono quelli che non aspettavano altro, gli antichi nemici, gli antipatizzanti, i tanti che hanno sempre guardato solo da una parte, ma ci sono anche molti che non hanno alcun motivo di sentirsi “contro“ lo Stato ebraico eppure non sanno più dove trovare ragioni emotive e morali per continuare a difendere – tanto per cominciare con se stessi, amici, parenti, colleghi – le ragioni di una Nazione assediata da ottant’anni, ma percepita ormai come del tutto incapace di tenere a freno la rabbia e la frustrazione. Anche le sue paure.

Tutto questo, come l’atmosfera assurda che ha preceduto Italia-Israele o i tentativi disperati di chi nella vita fa l’allenatore come Luciano Spalletti di dire qualcosa che fosse umanamente accettabile e non eccessivamente divisivo, è amaro e terribile. La certificazione di quanto sta accadendo nell’opinione pubblica occidentale, che assiste alla tragedia mediorientale impotente quanto si vuole, ma assiste e stop.

Pensate a ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza o in Libano, pensate a quelle generazioni di odio che si stanno costruendo e di fronte alle quali si troveranno le prossime generazioni di israeliani ed ebrei. Come si fa a non restare angosciati davanti a una prospettiva del genere? Come si fa a non soppesarne le mostruose conseguenze? Come si fa a non pretendere una strategia che vada oltre la prosecuzione della propria esistenza politica attraverso la guerra? E ci riferiamo al leader Benjamin Netanyahu.

L’uomo che non è stato capace di salvare il suo popolo dall’eccidio del 7 ottobre 2023 e ha mostrato di saper fare la guerra, ma di non avere la più pallida idea di come chiuderla. E questa potrebbe essere una colpa politica grave quasi quanto la prima.

di Fulvio Giuliani

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