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“Se gioventù potesse”, del perché non ci siamo meritati il mondiale

La non qualificazione dell’Italia ai mondiali impone una riflessione sul sistema del calcio italiano e sul ruolo dei giovani. Ma sarebbe sbagliato fermarsi al solo aspetto tecnico.
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“Se gioventù potesse”, del perché non ci siamo meritati il mondiale

La non qualificazione dell’Italia ai mondiali impone una riflessione sul sistema del calcio italiano e sul ruolo dei giovani. Ma sarebbe sbagliato fermarsi al solo aspetto tecnico.
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“Se gioventù potesse”, del perché non ci siamo meritati il mondiale

La non qualificazione dell’Italia ai mondiali impone una riflessione sul sistema del calcio italiano e sul ruolo dei giovani. Ma sarebbe sbagliato fermarsi al solo aspetto tecnico.
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La non qualificazione dell’Italia ai mondiali impone una riflessione sul sistema del calcio italiano e sul ruolo dei giovani. Ma sarebbe sbagliato fermarsi al solo aspetto tecnico.
Pensare agli azzurri fuori dai mondiali era oggettivamente impossibile l’11 luglio scorso, quando la stessa squadra saliva sul tetto d’Europa. Invece, oggi, ci troviamo a commentare un’Italia fuori dalla Coppa del Mondo per la quarta volta nella sua storia, la seconda consecutiva dopo il fallimento del 2018. Con la roboante differenza che questa volta la nazionale azzurra giocava con il titolo di Campione d’Europa sul petto. Una lezione dura, quella del calcio, che ci ricorda quante cose possano cambiare in pochi mesi, ma anche che merito e organizzazione non vanno mai dati per scontati.

IL RICAMBIO GENERAZIONALE CHE NON C’È

Ma cosa c’è dietro questo clamoroso fallimento sportivo? Le risposte sono essenzialmente due: il sistema calcio italiano che non valorizza i giovani e la letale sindrome della ‘pancia piena’. Partiamo dalla prima. Solo pochi giorni fa il c.t. dell’Under 21, Paolo Nicolato lanciava l’allarme: “Abbiamo bisogno di mettere sul piano della discussione l’utilizzo dei giovani. Il calcio italiano rischia di subire questa situazione, abbiamo bisogno di ragazzi per la Nazionale A. Tra poco avremo bisogno di pescare i giovani dalla Serie C“. I numeri parlano chiaro: la media degli azzurrini in Serie A è di 2,7 ragazzi a squadra. E questo non è il dato meno incoraggiante: la percentuale dei minuti giocati nel massimo campionato dai calciatori Under 21 italiani è del 4%! E in Serie B la situazione cambia poco. Nel campionato cadetto il numero degli Under 21 in rosa è in media di 3,7 a squadra. 7% il dato, aberrante, dei minuti giocati. In media i titolari Under 21 sono lo 0,8% a squadra. Numeri da paura per ‘il campionato degli italiani’ che dovrebbe essere il trampolino di lancio dei giovani verso il calcio dei grandi. Alla base di questi numeri ci sono tre cause: 
  • l’impossibilità di sbagliare, 
  • gli interessi dei procuratori sportivi, 
  • quell’inguaribile attrazione verso i calciatori stranieri. 
Andremo con ordine. Se un allenatore dà spazio a un giovane calciatore, e quel calciatore fa una prestazione insufficiente, i tifosi e la stampa massacrano l’allenatore prima, il calciatore poi. E allora si preferisce non rischiare, pensando alla propria carriera. Una scelta più che comprensibile di fronte a una platea sempre pronta a criticare e a non concedere molte chance. Passiamo al nodo procuratori. Spesso è nel loro interesse far acquistare calciatori stranieri perché su queste transazioni, mediamente, è possibile richiedere commissioni più alte. Il motivo è semplice: da una parte si fa leva sul calciatore, magari d’oltreoceano, permettendogli di giocare in uno dei massimi campionati mondiali, dall’altra si fa leva sulla squadra, prospettando la scoperta di un talento ancora non conosciuto in Italia.  Terzo punto, collegato al precedente: il maggiore appeal riconosciuto a tutto ciò che è straniero. Si tratta chiaramente di un problema culturale, non (solo) sportivo né tecnico. Tendiamo a sopravvalutare i tesori sparsi nel mondo e a dare per scontati quelli che abbiamo sotto il nostro naso. Converrebbe invertire la rotta.

LA SINDROME DELLA ‘PANCIA PIENA’

Per concludere, c’è un altro problema non tecnico, ma culturale, purtroppo atavico: la citata sindrome della ‘pancia piena’. Dopo la vittoria degli Europei dell’11 luglio scorso, e il quarto posto nel ranking FIFA, nessuno metteva in dubbio la qualificazione ai mondiali. Anche perché gli azzurri erano primi nel proprio girone con 3 punti di vantaggio sulla Svizzera e 5 partite da giocare contro squadre più che modeste. Ma in queste partite gli azzurri hanno collezionato solo delusioni: Italia-Bulgaria: 1-1, Svizzera-Italia: 0-0, Italia-Lituania 5-0, Italia-Svizzera: 1-1, Irlanda del Nord-Italia: 0-0. Nel mezzo, anche la sconfitta contro la Spagna in Nations League nel match finito 1-2 a San Siro. La vittoria per 2-1 contro il Belgio, nella finale per il terzo posto della Nations League, è servita alla gloria, ma non a evitare i play-off di qualificazione ai mondiali. Sarebbe bastato trionfare in Nations League o, risultato molto più fattibile, fare 3 punti in più in quelle 5 partite del girone per non arrivare all’incredibile epilogo di ieri: Italia-Macedonia del Nord: 0-1 e azzurri a casa. Forse a qualcuno darebbe fastidio sentir parlare di pancia piena, ma è sotto gli occhi di tutti che dopo quell’11 luglio qualcosa è cambiato. D’altronde, il riferimento resta valido anche se si pensa a un altro trionfo: quello nei Mondiali del 2006. Nelle successive edizioni della Coppa del Mondo, l’Italia ha collezionato due eliminazioni ai gironi (2010 e 2014) e due mancate qualificazioni (2018 e 2022). Come dopo gli Europei: dal paradiso all’inferno.  Dal 21 novembre al 18 dicembre, gli appassionati di calcio italiani dovranno rinunciare alla Serie A e non potranno neanche vedere la propria nazionale nei mondiali di Qatar 2022. Non resta che sperare nei mondiali 2026, che saranno i primi a 48 e non 32 squadre. Difficile non qualificarsi. Ma meglio non fare pronostici e imparare da questa lezione.   di Giovanni Palmisano

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