Il mondo di Jannik Sinner
Nel mondo di Jannik Sinner, si gioca a tennis e a quei livelli non c’è spazio per nient’altro, come per Djokovic e Nadal
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Nel mondo di Jannik Sinner, si gioca a tennis e a quei livelli non c’è spazio per nient’altro, come per Djokovic e Nadal
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Nel mondo di Jannik Sinner, si gioca a tennis e a quei livelli non c’è spazio per nient’altro, come per Djokovic e Nadal
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Nel mondo di Jannik Sinner, si gioca a tennis e a quei livelli non c’è spazio per nient’altro, come per Djokovic e Nadal
Nel mondo di Jannik Sinner è già cominciata la sacrosanta difesa da chi vorrebbe distruggere il carro salendoci in massa. Nel mondo di Sinner si sa benissimo che ieri mattina alle 11:30, sotto di due set a zero nella finale degli Australian Open, c’era già chi – non pochi – mormorava di delusione o molto peggio. Un’ansia di giudizio e un metodo frettoloso che in Italia conosciamo molto bene: quello che ti porta agli altari e ti consegna alla polvere con la stessa indifferenza alla sostanza.
Nel mondo di Sinner, si gioca a tennis e a quei livelli non c’è spazio per nient’altro, un’ossessione che ricorda molto da vicino quella dei fenomeni che hanno segnato la storia degli ultimi decenni di questo sport: Nole Djokovic e Rafa Nadal. Non a caso, pronti a celebrare con parole sentite e di valore la vittoria dell’azzurro ieri a Melbourne. Frasi non scontate, non dovute, da pari a pari: a un tempo riconoscimento, consacrazione e promessa di future sfide e qualche dolorosa rivincita. Dal punto di vista del numero uno serbo, tanto per cominciare, che non deve avere apprezzato molto le recenti sconfitte contro questo predestinato 22 enne.
Nel mondo di Jannik Sinner, il Festival di Sanremo ha un valore molto relativo, quella di una battuta sull’incapacità nel canto e nel ballo. Tanto per mettere in chiaro che non potrà certo essere un grande tema delle prossime settimane. Di lavoro. Nel mondo di Sinner ci sono parole dolcissime per mamma e papà, di ringraziamento profondo oltre che di amore, per la libertà concessa sin dalla più tenera età, libertà che è costata vedere un figlio andar via di casa a 13 anni per inseguire un sogno e una scommessa. Scelta che oggi può apparire scontata, vedendolo con il trofeo degli Australian Open fra le braccia, ma che neppure due lustri fa significava consegnare un ragazzino a una vita di rinunce e sacrifici in cambio di un enorme punto interrogativo. Perché lo sport agonistico è innanzitutto questo, ben prima che qualcuno si accorga di te e comincino ad arrivare attenzioni, notorietà e qualche guadagno.
Visto da fuori, il mondo di Sinner oggi è una specie di Paese di bengodi, in cui si passa il tempo a calcolare i guadagni dei ricchissimi premi del circuito e degli sponsor che fanno la fila: soldi strameritati e sacrosanti che non costituiranno mai la molla di gente come i fenomeni a cui abbiamo fatto cenno. Campioni mossi da una volontà di affermazione sovrumana che travalica qualsiasi aspetto materiale. Gente che vuole fare “la storia” del proprio mondo, in cui i soldi sono una logica conseguenza, una ricompensa di sacrifici che il pubblico spesso dimentica o non riesce a considerare nella loro reale dimensione.
Un po’ fa sorridere – per questo – la maniacale fissazione di tanti del dover fare i conti in tasca ai campioni, atteggiamento voyeuristico e provinciale, quando dietro ogni singolo “quindici” c’è tanto lavoro che pochissimi ricordano e in troppi dimenticano.
di Fulvio Giuliani
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