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La latitanza del calcio di seconda generazione in Italia

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L’elenco dei campioni di seconda generazione nel calcio europeo si allarga. Ma all’appello l’Italia non c’è

La latitanza del calcio di seconda generazione in Italia

L’elenco dei campioni di seconda generazione nel calcio europeo si allarga. Ma all’appello l’Italia non c’è

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La latitanza del calcio di seconda generazione in Italia

L’elenco dei campioni di seconda generazione nel calcio europeo si allarga. Ma all’appello l’Italia non c’è

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Negli occhi restano le sontuose giocate di Yamal (padre marocchino, mamma dalla Guinea Equatoriale) e Nico Williams, i giovani spagnoli che hanno spento i sogni di una coraggiosa Georgia, mentre 24 ore prima si è ammirato il talento sconfinato di Musiala – padre nigeriano, madre tedesca – cresciuto in Inghilterra dai 7 anni, ora faro della Germania multietnica e che una parte del paese, forse quella vicina a posizioni ultranazionaliste, vorrebbe “più tedesca”. Avendo citato gli inglesi, c’è anche l’ala dell’Arsenal Bukayo Saka, nato a Londra da genitori nigeriani.

L’elenco dei campioni di seconda generazione nel calcio europeo si allarga. Ma all’appello – e lo abbiamo constatato nel terribile torneo disputato dagli azzurri – l’Italia non c’è. Non è certo una sorpresa, eppure la domanda non può che sorgere spontaneamente: perché in altre discipline sportive questo tipo di muro è stato abbattuto, sebbene in Italia vi sia il nodo della cittadinanza che si ottiene solo a 18 anni, anche se si tratta di figli di immigrati nati in Italia e che hanno studiato nel nostro paese?


Nell’atletica leggera, presa a esempio solo perché i recentissimi Europei di Roma sono ancora una cometa, c’è il gigante dello sprint Chituru Ali, padre ghanese, madre di origini nigeriane ed è cresciuto con una famiglia affidataria di Como, che sogna in grande ai prossimi Giochi di Parigi, oppure Yeman Crippa, fenomeno del mezzofondo, a cinque anni adottato insieme ai suoi cinque fratelli dalla famiglia Crippa di Milano, dopo un periodo in orfanotrofio ad Addis Abeba. Insomma, l’Italia negli altri sport è al passo, nel calcio decisamente no. E quella marcia in più si vede tutta, nel passo, nel ritmo delle nazionali europee, nella freschezza fisica che arriva da altri continenti e che si è intrecciata al meglio nel tessuto europeo, non solo calcistico, a quanto pare.

Ci vorrebbe una risposta completa. Non solo supposizioni sulla latitanza del calcio di seconda generazione in Italia. Forse contribuisce alla causa che i presidenti dei club delle massime serie spendono meno acquistando calciatori all’estero a poco prezzo, con l’aiuto di agenti potenti. Non è certo un discorso contro la globalizzazione dello sport, che è un fenomeno da cui ovviamente non si torna indietro e ci mancherebbe altro. Ma il dato, altrettanto evidente, è che esiste un gap in termini di fisicità, di ritmo, sprint, potenza associata alla velocità che c’è in diverse nazionali, mentre latita in quella azzurra. Ed è più che un indizio che si tratti di un problema culturale, che avvolge la piramide del calcio italiano senza lasciare la politica fuori dalle stanze dei bottoni. Un problema che non si risolve restando imbullonati alle poltrone.

di Nicola Sellitti

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