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Calcio Germania

La via tedesca al calcio

La Germania rinuncia ai fondi privati di equity nel proprio campionato calcistico dopo le proteste dei tifosi: è la sfida del calcio tedesco

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La Germania rinuncia ai fondi privati di equity nel proprio campionato calcistico dopo le proteste dei tifosi: è la sfida del calcio tedesco

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La Germania rinuncia ai fondi privati di equity nel proprio campionato calcistico dopo le proteste dei tifosi: è la sfida del calcio tedesco

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La Germania rinuncia ai fondi privati di equity nel proprio campionato calcistico dopo le proteste dei tifosi: è la sfida del calcio tedesco

È un’enclave, come la riserva degli Osage raccontata da Martin Scorsese in ‘Killers of the Flower Moon’. Il calcio tedesco ha prima accettato di scendere a patti con l’invasione dei fondi di private equity nel pallone europeo (Premier League, Serie A, Ligue 1, meno nella Liga spagnola), per poi tirarsi indietro, spinto dalla pressione delle tifoserie dei club, non solo della Bundesliga.

A dicembre, la maggioranza dei due terzi dei 36 club della Bundesliga e della seconda divisione (la Zweite Liga) aveva votato per il coinvolgimento di un partner strategico – Cvc Capital, fondo che ci ha provato anche in Italia nell’estate del 2022, poi respinto con perdite – in un accordo da circa un miliardo di euro per un massimo di 20 anni, in cambio di una quota dei ricavi delle licenze derivanti dalla vendita dei diritti media. E’ iniziata così la rivolta delle tifoserie: aeroplanini e palline da tennis dalle gradinate, macchine telecomandate e monete di cioccolato in campo nei due campionati per esprimere la convinzione collettiva che con quell’accordo con CvC Capital il profitto sarebbe stato messo davanti alla tradizione dei club tedeschi, dove è ancora in piedi la regola del 50+1, secondo cui le quote di maggioranza di ogni club professionistico devono essere di proprietà dei soci – quindi dei tifosi – e non di un unico soggetto.

Dal Muro Giallo del Borussia Dortmund ad altri spalti (Colonia, Bochum) piuttosto infuocati della Bundesliga il segnale è stato così forte e univoco da generare l’immediata retromarcia da parte della Lega calcio tedesca (DFL), che ha rinunciato al munifico accordo con CvC Capital.

Ora, i fondi speculativi non vanno certo demonizzati e non rappresentano per forza il male del calcio. Si contano sia quelli che sono stati in grado di assicurare un certo benessere ai club senza disperdere il valore della tradizione, come al Liverpool – di proprietà del Fenway Sports Group che vede tra gli azionisti anche Lebron James – dove è ancora coltivato il rapporto tra i Reds e l’anima popolare, operaia, di Liverpool, e altrettanti che hanno invece alterato le regole del gioco, sostanzialmente drogando il calcio europeo, proiettandolo in una bolla dai costi esorbitanti.

La sfida per il calcio tedesco, che ha sempre percorso la strada della sostenibilità economica, che è mediamente ricco, sorretto da sponsor non certo in bolletta ed è espressione di un paese quasi sempre in salute economica, sarà quella di garantire un equilibrio tra la sacrosanta volontà dei club di alzare la soglia dei ricavi e la volontà dei tifosi di non veder disperdere l’idea del calcio popolare, radicato a dei valori sociali.

In ogni caso – ed è un monito anche per la disastrata Serie A – il modello attuale, fatto di conti in ordine e stadi moderni e capienti, produce ancora dividendi: la Zweite Liga ha una media spettatori (oltre 28 mila di media) più alta della Ligue 1 e nel penultimo turno di campionato ha saputo fare meglio addirittura della Bundesliga.

di Nicola Sellitti

 

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