L’Addio a Totò e un mondo che se ne andò
L’addio a Totò Schillaci fa male: un vecchio amico se ne va e noi possiamo solo stringerci al
dolore della sua famiglia
L’Addio a Totò e un mondo che se ne andò
L’addio a Totò Schillaci fa male: un vecchio amico se ne va e noi possiamo solo stringerci al
dolore della sua famiglia
L’Addio a Totò e un mondo che se ne andò
L’addio a Totò Schillaci fa male: un vecchio amico se ne va e noi possiamo solo stringerci al
dolore della sua famiglia
L’addio a Totò Schillaci fa male: un vecchio amico se ne va e noi possiamo solo stringerci al
dolore della sua famiglia
L’addio a Totò Schillaci fa male: un vecchio amico se ne va e noi possiamo solo stringerci al
dolore della sua famiglia. È anche, nel modo più malinconico, un tuffo indietro nel tempo. Ovviamente a quel Mondiale di 34 anni fa che non fu soltanto un’incredibile occasione sportiva persa quasi sulla linea del traguardo. Costituì, anche se all’epoca nessuno di noi se ne potè rendere conto, il canto del cigno di un’intera epoca del Paese.
Estate del 1990, superfluo ricordare cosa significò Totò Schillaci con i suoi occhi spiritati nel viaggio inebriante dell’Italia di Azeglio Vicini lanciata verso un titolo mondiale che sembrava scritto. Eroe impronosticabile, arrivato a un soffio da Paolo Rossi, dalla partita d’esordio contro l’Austria fino a quella semifinale terribile di Napoli contro l’Argentina. Al San Paolo veva segnato ancora lui, ma l’unico in grado di vincere da solo partite e Mondiali quella notte giocava con l’altra maglia e ci aveva destabilizzato in modo irreparabile.
Il sogno si infranse su quel mostro non solo di tecnica che era Diego Armando Maradona, il Mondiale ci scivolo via e di fatto la parabola di Totò si fermò lì. Non sarebbe mai più tornato a quei livelli, pur onorando la sua carriera con tutte le maglie che sarebbero seguite sino al crepuscolo giapponese.
Quel giorno non se ne andò solo un titolo mondiale che avremmo ampiamente meritato per la qualità del gioco e della squadra: nessuno di noi lo sospettava – anche se i più maturi e attenti ne avevano colto i segni premonitori – ma da lì a pochissimo il nostro Paese sarebbe cambiato per sempre. Tempo due anni e Tangentopoli avrebbe spazzato via tutto, un intero sistema sarebbe crollato e ci saremmo imbarcati in qualcosa che ancora oggi facciamo fatica ad analizzare con l’unico occhio che possa avere un senso e un valore, quello dello storico.
Anche se l’Italia avesse vinto il Mondiale giocato in casa non sarebbe cambiato nulla. La corruzione endemica avrebbe presentato il suo conto, il gigantesco fenomeno storico innescato dalla caduta del Muro di Berlino avrebbe fatto comunque il suo corso, ma avremmo chiuso con un enorme gioia collettiva. Di cui Totò Schillaci sarebbe stato l’emblema assoluto.
Non andò così e la storia non si riavvolge, restano le sliding doors, i ricordi di chi c’era e le sensazioni di un’epoca di cui molti ignorarono le avvisaglie. “Finché la barca va…“, non furono solo parole di Bettino Craxi.
Appena otto anni prima, un soffio, avevamo consegnato al mito il già citato Paolo Rossi e gli Azzurri di Bearzot. Totò e i suoi compagni non ce la fecero, non ci regalarono l’ultimo, spettacolare fuoco d’artificio del decennio pazzo che furono gli ‘80. Per noi ragazzi di allora un periodo puntellato di gioia, spensieratezza e una voglia di godersela che vorremmo tanto poter regalare ai ventenni o meno di oggi
di Fulvio Giuliani
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