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L’Arabia Saudita, la forza dei soldi e la tradizione che non si compra

Sportwashing: non sarà facile resistere alla tentazione delle montagne di quattrini pronte a essere investite per finalità che con lo sport hanno ben poco a che fare

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L’Arabia Saudita, la forza dei soldi e la tradizione che non si compra

Sportwashing: non sarà facile resistere alla tentazione delle montagne di quattrini pronte a essere investite per finalità che con lo sport hanno ben poco a che fare

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L’Arabia Saudita, la forza dei soldi e la tradizione che non si compra

Sportwashing: non sarà facile resistere alla tentazione delle montagne di quattrini pronte a essere investite per finalità che con lo sport hanno ben poco a che fare

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Sportwashing: non sarà facile resistere alla tentazione delle montagne di quattrini pronte a essere investite per finalità che con lo sport hanno ben poco a che fare

Scrivo senza conoscere i risultati degli ultimi due incontri del super-mega torneo organizzato dai sauditi con sei leggende vecchie e nuove del tennis mondiale. Il torneo-esibizione dal montepremi più ricco della storia, 6 milioni di dollari al vincitore, roba da smuovere oggettivamente anche le montagne.

Scandalo? Neppure per sogno! Le esibizioni profumatamente pagate sono sempre esistite e sempre esisteranno, ma non facciamo finta che questa sia un’occasione come tante altre. Mettere insieme, con un simile battage pubblicitario – oltre la marea di quattrini – nomi del calibro di Nole Djokovic, Nadal quasi all’ultimo atto della carriera, Jannik Sinner e via andare rientra nel più ampio e oggettivamente colossale sforzo dell’Arabia Saudita incentrato sullo sport (non solo, naturalmente), per mettersi al centro dell’attenzione mondiale con intenti geopolitici.

Cercare, insomma, di riscrivere in qualche misura la storia dell’organizzazione mondiale dello sport professionistico per rifarsi un po’ di verginità. Tanta la strada da percorrere, ma lo sforzo del ‘moderno’ sovrano Bin Salman merita di essere seguito con attenzione in un’area dall’incredibile complessità.

Fra le conseguenze che analizziamo oggi, lo show business diventa così sempre più protagonista e – senza alcun tipo di nostalgia – tende ad assorbire lo sport ai massimi livelli. Come già detto, nessuno si scandalizza e se Sinner e compagni trovano modo di ritagliarsi uno spazio nell’affollatissimo calendario ATP per farsi ricoprire di soldi e partecipare a un po’ di attività promozionale vagamente tragicomica, nulla da dire (chi non ci andrebbe?!). Sono fra coloro che un torneo del genere non lo guarderanno mai, mentre tanti altri lo hanno fatto. Pace.

Resta che questo ostentato gigantismo saudita non riesce e non riuscirà a “comprarsi“ la storia e la tradizione. Da questo punto di vista, il fallimento del calcio è stato clamoroso: una bolla gonfiatasi e scoppiata nel giro di 12 mesi. Ricordiamo molto bene gli spericolati profeti che nell’estate del 2023 ci assicurarono lo spostamento del calcio armi e bagagli nella poderosa Saudi League. Uno dei campionati più ridicoli che storia umana pallonara abbia mai partorito.

La lezione è importante e tutto sommato anche rassicurante per chi crede nella forza della tradizione, del fascino e di ciò che conta per davvero. Anche il far soldi – cosa bellissima – ma non solo per soldi. Il tema esula dai giocatori che hanno fatto benissimo ad andare a farsi trattare come re e principi per una settimana (cosa ben diversa dalla prigione dorata di un anno o più dei loro colleghi calciatori), ma richiama i vertici dello sport mondiale: non sarà facile resistere alla tentazione delle montagne di quattrini pronte a essere investite per finalità che con lo sport hanno ben poco a che fare e bisognerà stare molto attenti a non trasformare un mondo che amiamo in un circo dorato e triste.

Di Fulvio Giuliani

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