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Luciano Spalletti e Francesco Acerbi

Le “cose di campo” che uccidono il calcio

Luciano Spalletti lascia fuori dalla Nazionale Francesco Acerbi dopo le frasi razziste nei confronti di Juan Jesus affinché nessuno si nasconda nelle “cose di campo“

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Le “cose di campo” che uccidono il calcio

Luciano Spalletti lascia fuori dalla Nazionale Francesco Acerbi dopo le frasi razziste nei confronti di Juan Jesus affinché nessuno si nasconda nelle “cose di campo“

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Le “cose di campo” che uccidono il calcio

Luciano Spalletti lascia fuori dalla Nazionale Francesco Acerbi dopo le frasi razziste nei confronti di Juan Jesus affinché nessuno si nasconda nelle “cose di campo“

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Luciano Spalletti lascia fuori dalla Nazionale Francesco Acerbi dopo le frasi razziste nei confronti di Juan Jesus affinché nessuno si nasconda nelle “cose di campo“

È il terzo giorno di seguito che ci ritroviamo a scrivere di sport, ma riteniamo che in ciascuna di queste mattine fosse il tema da proporre fra i più interessanti in assoluto.
In questo specifico caso, la decisione del Commissario Tecnico della Nazionale italiana di calcio Luciano Spalletti di mandare a casa il giocatore dell’Inter Francesco Acerbi ha ricadute che ci riguardano tutti.

Acerbi, domenica sera nella sfida contro il Napoli a San Siro, si sarebbe lasciato andare a delle frasi razziste nei confronti del difensore brasiliano dei campioni d’Italia Juan Jesus. Acerbi ha sostenuto con forza di non aver voluto in alcun modo denigrare e tantomeno offendere in modo razzista l’avversario e va detto che quest’ultimo in primis aveva cercato di derubricare la faccenda – come troppo spesso capita in questi casi – a “cose di campo“.

Dicitura gravemente ipocrita che non significa un bel nulla, buona giusto a dare l’idea di non voler disturbare i protagonisti di questo mondo dorato e fragilissimo. Impedendo loro di prendere coscienza delle proprie parole e delle proprie azioni.
Non ha pensato di limitarsi alle “cose di campo” Luciano Spalletti e ha fatto non bene, benissimo. Almeno nelle azioni, perché poi a parole anche lui ha provato a buttare acqua sul fuoco. E ci è piaciuto meno.

Perché qui non si tratta di voler crocifiggere un ragazzo a cui tutti abbiamo voluto e vogliamo bene per la sua storia personale, la sofferenza provata per la malattia e la grande forza dimostrata nel riuscire a tornare a fare ciò che ama. Si tratta di ricordare a tutti l’ordine delle cose, che le parole sono pietre e che i professionisti hanno il dovere di controllarle, al pari dei propri gesti.
Da questo punto di vista, il circostanziato e severo post di ieri sera di Juan Jesus pesa come un macigno.

Coscienza ci vorrebbe ancor più quando si è sotto l’occhio del Paese, in special modo dei più giovani che imitano tutto – dicasi tutto – dei loro eroi della domenica. Certo, anche a causa di questi inqualificabili episodi (lo scrivevamo appena ieri) l’appeal del calcio fra i ragazzi, fra i nostri figli, sta crollando.
Sono proprio le figuracce, le cadute di stile e di inciviltà francamente inspiegabili in persone apparentemente dotate di sensibilità, intelligenza e discernimento a condannare il nostro pallone alla marginalità.

Perché contano risultati, le coppe, la capacità di contrastare lo strapotere economico dei grandi club europei, ma anche di essere un movimento evoluto. Una realtà in cui non abbia mai e poi mai diritto di cittadinanza la frase idiota, perché quest’ultima non è mai solo stupida. È anche pericolosa, pianta semi difficilissimi da estirpare.

Chi sbaglia non si deve nascondere nelle “cose di campo“, né deve essere aiutato a farlo per un malinteso corporativismo. A ‘caldo’ e pure dopo.

di Fulvio Giuliani

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