L’ultimo Agnelli
L’ultimo Agnelli
L’ultimo Agnelli
La fine dell’era di Andrea Agnelli è clamorosa, ma non sorprendente. Nei tempi magari sì, come nella regia del passo d’addio e in un comunicato che con tutto il burocratese di questo mondo non riesce a nascondere uno scontro interno durissimo. Tutti sapevano, però, quanto l’aria si fosse fatta irrespirabile intorno al presidente dei nove scudetti consecutivi e ai suoi collaboratori più fidati.
Alla fine, i vertici non hanno resistito all’inchiesta per falso in bilancio della Procura della Repubblica di Torino e ai rilievi tecnici della Consob e della società di revisione Deloitte&Touche che hanno sostanzialmente chiesto alla società una riscrittura del bilancio. Un doppio colpo che ha spinto la proprietà – cioè John Elkann – a intervenire. Un ciclone imparagonabile a quello che spazzò via la Juventus di Moggi, Bettega e Giraudo, ma comunque la fine traumatica di un’altra gestione stravincente eppure destinata a un finale fra le ombre. Con il The End imposto dalla “famiglia”, nella persona del cugino John. Oggi come allora.
Il punto è che – senza commentare l’inchiesta e nella speranza che i tempi della giustizia siano un po’ meno biblici del solito – la proprietà aveva perso fiducia nella dirigenza. Se preferite, si era rotto il rapporto fra Andrea Agnelli e John Elkann e tutto è crollato. Oltre all’azzeramento del Cda (con spaccatura interna denunciata dallo stesso comunicato), a spiegare molte cose è la nomina dei nuovi vertici. Il direttore generale è Maurizio Scanavino, amministratore delegato del gruppo Gedi, manager di lunga esperienza nell’editoria e mai vicino alla gestione di società sportive. Al posto di Andrea Agnelli va Gianluca Ferrero, commercialista, revisore, sindaco e amministratore di varie società. La scelta di John Elkann è chiara: ora comanderanno manager puri. Tecnici capaci di traghettare la società nella tempesta dell’inchiesta penale e dei rilievi Consob.
La Juventus va rimessa in carreggiata e deve potersi difendere, come scritto anche nel comunicato conclusivo del Cda che ha sancito la fine dell’era Agnelli. Vincente come pochissime, si diceva, illuminata dal record dei nove scudetti consecutivi, impreziosita da due finali di Champions League (“il grande rimpianto” del presidente dimissionario), ma finita nel tritacarne di una gestione sempre più insostenibile. Rossi su rossi, ricapitalizzazioni su ricapitalizzazioni e le conseguenze dell’operazione Ronaldo: se non la madre di tutti i guai, l’innesco del precipizio. Una lezione per tutti, considerato che non ci furono voci critiche all’acquisto del portoghese, nonostante l’esplosione dei costi che inevitabilmente comportava. Fu considerata, anzi, una clamorosa opportunità economica.
Giudicare ex post è sempre troppo facile e solo conoscendo conti e strategie (anche contabili…) nei dettagli – allora, non oggi – si sarebbe potuta dare una risposta adeguata o prevedere gli sconquassi. Fare le Cassandre a scoppio ritardato è abbastanza ridicolo. Di sicuro l’affaire CR7 non è andato come si sperava, ma la gestione di un’opportunità è sempre in capo a chi comanda e al suo team. Non vale appellarsi al destino cinico e baro o al fallimento di un singolo obiettivo, come nel caso della Champions League per cui era stato acquistato il fenomenale e costosissimo portoghese. Perché questo sì – legare i destini e il futuro di una società a una specie di “O la va o la spacca” – sarebbe risultato un azzardo inconcepibile.
È stato lo stesso Andrea Agnelli ad alimentare i sospetti in tal senso, con la sua goffa e a tutt’oggi incomprensibile gestione della malsana idea Superlega. Incomprensibile fin quando non la si legga come una ciambella di salvataggio economico a cui agganciare disperatamente una società nel vortice dei debiti. Un vizio non della sola Juventus, che ha disastrato il Barcellona e messo il Real Madrid in un mare di guai. Guarda i casi della vita, le tre ultras del progetto Superlega.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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