L’uomo industria del calcio
Domani Cristiano Ronaldo compie 40 anni, di cui almeno due decadi vissute al vertice, tra reti, coppe, vittorie e sponsorizzazioni milionarie
L’uomo industria del calcio
Domani Cristiano Ronaldo compie 40 anni, di cui almeno due decadi vissute al vertice, tra reti, coppe, vittorie e sponsorizzazioni milionarie
L’uomo industria del calcio
Domani Cristiano Ronaldo compie 40 anni, di cui almeno due decadi vissute al vertice, tra reti, coppe, vittorie e sponsorizzazioni milionarie
Domani Cristiano Ronaldo compie 40 anni, di cui almeno due decadi vissute al vertice, tra reti, coppe, vittorie e sponsorizzazioni milionarie
Il calcio è un brivido che resta dentro, la sensazione di vicinanza emotiva a un fuoriclasse invece inavvicinabile, anche nell’era dei social e delle strategie decise a tavolino. Ecco perché è giusto celebrare la grandezza di Cristiano Ronaldo – che domani festeggia 40 anni, di cui almeno due decadi vissute al vertice, tra reti, coppe, vittorie, sponsorizzazioni milionarie – con la consapevolezza che il portoghese, a differenza di quanto lui dica di sé stesso, non è certo il migliore della storia, se davvero questo titolo di latta interessasse a qualcuno.
Prima di spegnere le candeline (e magari festeggiare con un sorso d’acqua, piuttosto che con lo champagne) Ronaldo è tornato a provare a convincere tutti di essere il più grande, per i mille gol segnati in carriera. Come se fosse l’aritmetica a stabilire chi sia davvero quello che si è lasciato tutti alle spalle. Come se l’abbuffata di reti equivalesse allo stesso quantitativo di emozioni. Per fortuna non è così. Ronaldo non è Messi, senza manco arrivare a scomodare Maradona, non avrebbe mai potuto esserlo. Forse è più ammirato dell’argentino, che con quel talento è nato, mentre Ronaldo l’ha dovuto affinare, consolidare, preservare negli anni.
Di sicuro, il portoghese di Madeira ‘smuove meno’, nel suo calcio non c’è mai stata poesia. Ha paragonato il suo dualismo con Messi a quello tra Prost e Senna, forse centrando l’esempio più calzante: il pilota francese ha vinto più di Ayrton, ma chi è davvero ricordato come l’Immortale? Una posizione che però non può portare a tacere su cosa abbia rappresentato CR7 per il calcio e lo sport mondiali. Elevando a metodo di lavoro la lezione di Michael Jordan, che trent’anni fa – con il leggendario spot per Nike girato da Spike Lee – ha sdoganato la figura dell’atleta-logo.
Ronaldo è ancora un’industria applicata al pallone, ha piazzato davanti a una telecamera il viso, il sorriso, il corpo per ogni tipo di brand. Lo scorso anno è andato oltre il miliardo di follower sui social, per ogni post su Instagram continua a incassare somme a tanti zeri. Il portoghese è stato anche il manifesto dell’etica e della dedizione alla sua professione. Come lui solo Kobe Bryant, che però si porta dietro un certo tipo di mistica anche dovuta alla sua morte dilaniante e precoce. Rigore portato all’estremo, tra riposo, recupero muscolare e l’attenzione maniacale per l’alimentazione corretta, imposta anche al figlio adolescente innamorato della Coca Cola. Così ha davvero tracciato una linea, mostrando a tutti che il talento va allenato, che l’ossessione serve per arrivare in vetta.
Poco più di due anni fa Ronaldo si è ritrovato senza squadra. Dopo aver ‘sfruttato’ le maglie con cui di volta in volta ha vinto decine di trofei e segnato centinaia di reti, così da elevare il suo brand e potersi scegliere a tavolino quello successivo, è arrivata la legge del contrappasso. Non serviva più a nessuno dei top club europei. Più costi che benefici. Non è certo accaduto con Messi, che ha scelto di andare a Miami nella Major League Soccer senza la possibilità di tornare al Barcellona per la crisi finanziaria della società catalana. Se Messi avesse aperto la porta avrebbe trovato la fila, il portoghese invece ha dovuto ripiegare sull’Arabia Saudita. E così sarà ancora per un po’, fino ai Mondiali di Usa-Canada-Messico. Tra gol, soldi e (poche) emozioni.
Di Nicola Sellitti
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