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Bellinazzo: “La FIFA esca dall’ipocrisia. Il calcio è un fenomeno anche politico”

Marco Bellinazzo spiega perché l’assegnazione del Mondiale al Qatar non sia sbagliata nella sostanza, ma nelle varie scelte che l’hanno determinata. Con il giornalista del Sole 24 Ore, un dialogo per capire se sia ancora possibile salvare lo sport più seguito al mondo
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Bellinazzo: “La FIFA esca dall’ipocrisia. Il calcio è un fenomeno anche politico”

Marco Bellinazzo spiega perché l’assegnazione del Mondiale al Qatar non sia sbagliata nella sostanza, ma nelle varie scelte che l’hanno determinata. Con il giornalista del Sole 24 Ore, un dialogo per capire se sia ancora possibile salvare lo sport più seguito al mondo
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Bellinazzo: “La FIFA esca dall’ipocrisia. Il calcio è un fenomeno anche politico”

Marco Bellinazzo spiega perché l’assegnazione del Mondiale al Qatar non sia sbagliata nella sostanza, ma nelle varie scelte che l’hanno determinata. Con il giornalista del Sole 24 Ore, un dialogo per capire se sia ancora possibile salvare lo sport più seguito al mondo
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Marco Bellinazzo spiega perché l’assegnazione del Mondiale al Qatar non sia sbagliata nella sostanza, ma nelle varie scelte che l’hanno determinata. Con il giornalista del Sole 24 Ore, un dialogo per capire se sia ancora possibile salvare lo sport più seguito al mondo
Le critiche mosse al Mondiale in Qatar appena iniziato sono tante e di diversa natura. Ma l’accusa regina è senza dubbio quella di aver assegnato la competizione allo stato arabo senza tener conto della scarsa cultura calcistica del posto e delle discriminazioni in tema di diritti civili, pensando solo al denaro. “Le stime fornite dallo stesso Qatar parlano di un giro d’affari, tra quelli diretti e indiretti, di circa 20 miliardi di euro“, ci dice Marco Bellinazzo, storica firma del Sole 24Ore, autore del volume appena uscito in libreria “Le nuove guerre del calcio. Gli affari delle corporation e la rivolta dei tifosi“, edito da Feltrinelli. Lo Stato arabo ha speso circa 8 miliardi di dollari per la sola costruzione degli stadi, anche se il vero prezzo sono state le oltre 6.500 vite umane portate via dagli incidenti sul lavoro, frutto di normative di sicurezza ancora carenti, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni. Il lavoro sugli stadi è solo una parentesi di una più ampia trasformazione che il Qatar sta portando avanti da quando, nel dicembre 2010, la FIFA, allora presieduta da Joseph Blatter, lo ha designato come Stato ospitante della Coppa del Mondo 2022. In questi anni l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani ha deliberato grandi investimenti per trasformare il paese in vista del mondiale e per fare della competizione “un’occasione di rinascita del Qatar, di diversificazione degli investimenti e di creazione di un profilo più accettabile al mondo occidentale, anche se questo ci sembra paradossale vedendo cosa è successo ai lavoratori immigrati, e ascoltando le ormai famigerate affermazioni sugli omosessuali. Il Qatar non ha lesinato, le fonti principali parlano di circa 200 miliardi di dollari investiti“, spiega Bellinazzo.

QATAR 2022 – TANTI SOLDI, POCHI DIRITTI

A dispetto delle dichiarazioni di facciata (durante la cerimonia di apertura si è fatto spesso riferimento all’annullamento delle distanze e al rispetto delle differenze), atteggiamenti come bere alcolici ed esplicitazioni di amore omosessuale restano vietate nello stato qatariota. Scelte discriminatorie che poco si confanno allo spirito globale della competizione e ai principi professati. Accanto a queste critiche del tutto fondate, ve ne sono altre che lo sono meno, come per esempio il fatto che la scelta sia ricaduta su uno Stato dove non si è mai svolto un evento di tale portata e con poca cultura calcistica. Capi d’accusa che andrebbero visti da vicino. In primis, trattandosi di Coppa del Mondo è auspicabile che si disputi, a rotazione, in varie parti del globo, discriminatorio sarebbe escluderne alcune a priori. Guardando poi al profilo dell’industria calcistica “era ineluttabile e ragionevole organizzare un mondiale nell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa). È un’area – spiega Bellinazzo – abitata da circa mezzo miliardo di persone con un’età media molto bassa, un’elevata propensione all’utilizzo di strumenti tecnologici e tanta passione per il calcio. Detto questo, seppure le inchieste non abbiano mai accertato nulla, è evidente che ci sia stato un mercimonio dietro l’assegnazione di questo mondiale, che in qualche modo ci sia stato un seguito di attività illecite accertate dall’FBI in merito ad altre manifestazioni”. L’assegnazione del mondiale al Qatar poteva, dunque, essere la scelta giusta per ridurre le distanze tra quel mondo e il nostro, ma la forma e i tempi sono stati sbagliati. “Credo – continua il giornalista del Sole 24Ore – che l’assegnazione al Qatar sia stata precoce, guidata da puri interessi economici e che abbia fallito nel tentativo di porre le basi per un profondo rinnovamento della FIFA”. Il calcio può creare ponti tra culture o ripulire l’immagine di pericolosi regimi, dare voce alla gente o diventare uno strumento in mano ai pochi, unire o allontanare. Come ogni cosa potente, è l’utilizzo che se ne fa, che determina il risultato.

LE DITTATURE E IL CALCIO DEL FUTURO

Bellinazzo traccia la linea: “Le dittature non si fanno scrupoli ad utilizzare l’enorme potenziale di questo sport per i propri scopi, per abbellire i propri regimi e darsi una credibilità. La FIFA deve uscire dall’ipocrisia per cui definisce il calcio semplicemente uno sport, senza valenza politica. Il calcio, e lo sport di alto livello in generale, sono fenomeni sociali e quindi politici. Quindi – chiosa – se in futuro vorrà essere credibile, la FIFA non potrà richiedere solo degli standard tecnici e strutturali ai paesi ospitanti, ma anche standard di libertà e diritti civili (quasi) universalmente riconosciuti“. Il collega ci spiega come siano in atto delle grandi manovre attorno al calcio, dei movimenti tellurici che lo stanno trasformando in altro e di cui parla nel suo libro: un’analisi capillare di 320 pagine per capire il futuro del calcio nel prossimo decennio e le dinamiche che rischiano di rovinare lo sport più amato di tutti. Si è ancora in tempo per far sì che il calcio non diventi solo show business, con un servizio piatto, omologato a sé stesso, e il pallone continui a rotolare anche nei vicoli stretti dei paesi dimenticati dalle lobby.   Di Giovanni Palmisano

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