Lo sport è scuola di vita
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Marco Fiorini, ex atleta e allenatore di sci, spiega perché in Italia il rapporto tra scuola e pratica sportiva è da sempre conflittuale
Lo sport è scuola di vita
Marco Fiorini, ex atleta e allenatore di sci, spiega perché in Italia il rapporto tra scuola e pratica sportiva è da sempre conflittuale
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Lo sport è scuola di vita
Marco Fiorini, ex atleta e allenatore di sci, spiega perché in Italia il rapporto tra scuola e pratica sportiva è da sempre conflittuale
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AUTORE: Ilaria Cuzzolin
In Italia il rapporto fra scuola e pratica sportiva agonistica è da sempre conflittuale. Inutile girarci intorno, per un numero (per fortuna decrescente, ma ancora robusto) di insegnanti studio e sport sono antitetici. Una sciocchezza colossale ben chiara già ai tempi degli antichi romani e greci, che mai si sarebbero sognati di scindere mens sana da corpore sano. Da noi, Terzo millennio, non è così. Ecco perché servono delle storie come quella di Marco Fiorini, 61 anni, che quando si parla di sci e montagna conserva ancora l’entusiasmo di un bambino: «Mi alzo alle 6 del mattino, mangio 400 gr di carne di cavallo e vado giù ancora come un razzo. Dopo un passato da atleta, in cui sono arrivato a gareggiare anche in Coppa Italia, oggi insegno a ogni livello» racconta questo allenatore di sci alpino.
Proprio per sostenere la crescita degli atleti, i ragazzini più promettenti possono contare su regolamenti che il Ministero dell’Istruzione ha pensato per loro: il progetto formativo personalizzato (Pfp) o per esempio il documento per lo sviluppo dell’atleta a lungo termine (Salt), ispirato al modello anglosassone (com’è noto, negli Usa i giovani più promettenti non pagano nemmeno le salatissime rette e capita che vengano agevolati anche troppo nelle altre materie). «In Italia la situazione è agli antipodi» spiega Fiorini. «Se le assenze cominciano a essere quattro o cinque, diventano un problema per l’insegnante. Non c’è la dovuta comprensione e considerazione della pratica sportiva. Viene lasciato tutto alla discrezionalità del professore di turno, che spesso vede nell’allenamento o nella gara soltanto una perdita di tempo». Nessuna agevolazione per questi ragazzi, che prima di diventare dei professionisti (cosa possibile solo a 18 anni) devono macinare gare su gare e centinaia di ore di pratica. «Arrivano in allenamento con la testa piena di preoccupazioni e questo mal si concilia con uno sport dove si raggiungono anche i 100 km all’ora. Anche la famiglia aggiunge pressioni con aspettative altissime, magari per dare un senso all’investimento economico fatto. Con le dovute eccezioni, chi arriva a fare le prime gare importanti ha dietro mamma e papà che hanno investito almeno 30-40mila euro nella preparazione del figlio».
Quando le pressioni sono troppe l’unica alternativa per provare a inseguire il proprio sogno è “fuggire” e andare a studiare in college dedicati, una sorta di fabbrica per futuri sciatori: l’Istituto Bachmann di Tarvisio (Udine) e altre realtà simili a Pozza di Fassa in Trentino e a Sesto in Alto Adige. Oggettivamente non il massimo in altri aspetti didattici. Questo significa allontanarsi da casa, allenarsi la mattina e studiare il pomeriggio o viceversa, ma soprattutto implica una discreta disponibilità economica. Il che ci fa pensare che ad arrivare in cima non siano solo i più bravi ma anche i più benestanti. Laggiù nel mondo si nasconde qualche inconsapevole Alberto Tomba che resterà sempre a valle per una questione di soldi.
Di Ilaria Cuzzolin
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