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Lo storico trionfo del Marocco contro la Spagna rappresenta un'attesa riscossa che va ben oltre il calcio

Il Marocco non è più una favola

Lo storico trionfo del Marocco contro la Spagna rappresenta un’attesa riscossa che va ben oltre il calcio

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Non è più una favola. È di più. È la storia di una squadra che è diventata grande pescando tra i suoi migranti in giro per l’Europa. La prima nazionale araba ai quarti di finale dei Mondiali. Il Marocco che si qualifica tra le prime otto in Qatar ai danni della Spagna (3-0 ai rigori) rappresenta il coronamento della corsa decennale di quei marocchini che sono saltati oltre quei muri, le enclave di Ceuta e Melilla, per costruirsi un futuro in Spagna, nella Penisola Iberica. Non solo nel calcio.

È l’attesa riscossa. Partendo da Hakimi, l’ex interista ora al Psg, che ha calciato il rigore del miracolo marocchino, lo scavetto alla Totti che vale la gloria, celebrato anche da Kylian Mbappè su Twitter: è cresciuto al Real Madrid. Era talmente forte che ha esordito in nazionale a 17 anni. Come Messi, come Diego, come quelli davvero forti. Per la prima volta tra le prime otto ai Mondiali. Il simbolo del Nordafrica che chiede spazio a Europa e Sudamerica. Anche gli algerini, i tunisini si stanno complimentando con Ziyech e compagni attraverso le piattaforme social. Solidi, tosti, costruiti intorno a un anarchico talento del pallone, Ziyech appunto, che è capace di tutto, davvero di tutto.

Eppoi Mazraoui, il fiorentino Amrabat che sembra un bobcat per la forza in mediana e l’esterno sinistro Boufal, nato a Parigi, senza segnalarsi sulla mappa del calcio europeo sino ai 30 anni e che contro gli spagnoli è sembrato Garrincha. E attorno a un portiere Bounou, che ha ipnotizzato gli spagnoli con un disarmante sorriso sul dischetto, dopo 120 minuti di tensione. Ma è anche il Marocco degli italiani Sabiri e Cheddira, il primo alla Sampdoria (ma in Serie B, all’Ascoli, la scorsa stagione), il secondo (che ha sprecato diverse occasioni per chiudere la partita prima dei rigori) al Bari, ora in B, per mesi in C. E che si arrampicano tra le prime otto, mandando a casa i talenti del Barcellona, del Real Madrid, dell’Atletico Madrid. La forza del pallone che annulla le distanze.

Per la Spagna, ancora dischetto fatale. Hanno sbagliato tutti. Pablo Sarabia, Carlos Soler, il veterano Sergio Busquets. Fuori senza perdere, come a Wembley, a Euro 2020. Hanno giocato male. Senza un centravanti di ruolo, esigenza del tiki taka. Gavi ha preso una traversa. Troppo poco. I penalty si mettono di traverso ancora una volta a Luis Enrique, che pure meriterebbe, per come si avvicina al calcio e sorride alla vita, altro che un titolo Mondiale e che invece si trova fuori dalle due competizioni più importanti senza una sconfitta. Anche le accuse di biscotto con il Giappone sono svanite nel nulla: la giovane e talentuosa Spagna di Pedri, Gavi, Williams, aveva davvero smarrito le munizioni. Lo stadio era una specie di casbah. Si sentivano solo i marocchini. Ci saranno colonie di marocchini in festa nelle comunità spagnole. E così in Italia, tra Milano, Roma, Napoli. Ma il bello è che la storia, forse, non è ancora finita.

Di Nicola Sellitti

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