Mbappe contro Messi
Mbappe contro Messi
Mbappe contro Messi
Un anno dopo è partito il progetto miliardario per i Mondiali, con l’acquisto del Qatari Sports Investment del Paris Saint Germain, il fondo che vede al vertice Al Khelaifi, in cui sono stati inseriti, come pezzi in un mosaico di diamanti, Ibrahimovic, Cavani, Neymar, Mbappè, infine Messi. Era tutto finalizzato ai Mondiali, a costruire il sogno qatariota, finanziato dai petrodollari con l’appoggio della Fifa. Sono arrivati all’obiettivo, mettendo da parte la tutela dei diritti umani, delle donne, dei migranti, degli omosessuali. Prima il business, ma era chiaro da tempo. Hanno trovato la porta aperta, ci si sono infilati.
Quattro anni fa, agli ottavi di finale, è finita 4-3 per i francesi, con doppio timbro di Mbappe. È stata la partita che ha segnato il suo ingresso nel manipolo dei migliori. C’era anche Griezmann, pure a segno: era da punta, ora invece amministra le sue gare da tuttocampista ed è stato una delle chiavi del percorso transalpino verso la finale. Nell’Argentina di Messi in ombra nella ricerca di complici per un’impresa complicata c’era ben poco di quella attuale: qualche lampo di Di Maria, l’ultimo ballo di Mascherano, uno stralcio di talento del Kun Aguero. C’era Enzo Perez. Con tutto il rispetto, meglio Enzo Fernandez.
Poi i francesi sono arrivati in fondo, hanno vinto la Coppa, mantenuto la struttura vincente, riammesso Benzema nonostante il rapporto inesistente con il ct Deschamps e inserito qualche nuova pedina. L’Argentina invece ha ridisegnato le sue fondamenta e soprattutto ha saputo aspettare Messi, la sua delusione post Mondiali, gli ultimi timori dissolti di non essere all’altezza di quell’ombra così invasiva. Leo ha saputo ripagare: lo scorso anno ha vinto quasi da solo la Coppa America. In queste settimane ha dominato in Qatar, a partire dalla seconda gara dei gironi, con il Messico, fino all’esibizione leggendaria contro la Croazia.
Entro poche ore sarà Mbappe contro Messi, prima di fare i bagagli e tornare ai tornei nazionali: la Premier League riparte il 22. Anche se – come spesso avviene nelle grandi sfide -, la soluzione del giallo potrebbe arrivare da qualcun altro. Alvarez, Giroud, per esempio, sono carichi.
Nelle ore che precedono il fischio d’inizio, tra virus del cammello e le immancabili cassandre sull’esito della finale, si spendono le ultime cartucce sulla precisa collocazione della Pulce nel pantheon dei più grandi di sempre. Soprattutto, se va piazzato prima di Diego, al pari di Diego, un gradino sotto Diego. Una valutazione, pare, destinata a variare, in base al risultato della finalissima.
La discussione – che anima gli argentini e non solo da ormai oltre un decennio – posta in questo modo forse porta pochi risultati. Piuttosto che metterli sempre l’uno di fronte all’altro, una chiave di interpretazione potrebbe portare alla considerazione che era dai tempi del Diez che non si ammirava un fenomeno – la Pulce – in grado, ancora di più durante questa edizione dei Mondiali, di dominare avversari, arbitri, pubblico, tutto quello che c’è dentro e fuori a uno stadio, con le “regole” imposte dal calcio contemporaneo. Regole che sono estremamente differenti da quelle del sistema-calcio in cui Maradona è stato capace di dominare: dagli arbitri più severi a un livello tecnico più elevato (almeno in Serie A), ma anche meno partite nelle gambe in una stagione e in generale una richiesta al fisico dei non portata all’estremo, come avviene oggi, con i Mondiali collocati in inverno e una prima fetta di campionato e coppe europee portata a termine in un paio di mesi.
Quindi, la vera fortuna, lasciando a tutti la facoltà di scegliersi il preferito, è stata poterli ammirare entrambi. Diego e Messi. La magia al potere. Ancora di più per gli argentini, che hanno anche tifato per loro.
Di Nicola Sellitti
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